Come hai scelto questa professione?
La verità è che non l’ho scelta,ma mi ha un po’ scelto, perché quando arrivai a Roma non avevo veramente l’intenzione di fare l’attore. Ero curioso… e una sera un amico mi invitò a vedere delle prove in un teatro (il Teatro Olimpico) e il buio del palcoscenico, questa luce che a un tratto illuminava il palcoscenico stesso, l’attore usciva e parlava… questo mistero mi aveva incuriosito per cui ho iniziato a informarmi, a fare una scuola di recitazione. Fondamentalmente l’ho scelto per curiosità.
Qual è stato il tuo percorso artistico?
Ho iniziato come tanti con una scuola di recitazione, di mimo, di canto. Poi ho fatto – come è usuale – un provino, l’ho vinto e ho fatto il mio primo spettacolo, si chiamava “Risveglio Di Primavera” di Wedekind per la regia di Memè Perlini. Erano gli anni ’70, il periodo dell’avanguardia teatrale; poi dopo ho fatto teatro come fanno tutti i giovani fino a quando ho fatto quattro provini per Avati che stava cercando un ragazzo giovane come protagonista del nuovo film che si chiamava “Impiegati”. L’ho vinto ed il film ebbe un successo sia di critica che di pubblico, di fatti andammo al festival di Cannes e mi tolse dall’anonimato, per cui ho iniziato a quel punto una carriera cinematografica e ho avuto l’opportunità di lavorare con Fellini, con Bellocchio, con Risi, Bruno Bozzetto ‘il grande cartoonista’ e una serie di registi. Da lì ho cercato di fare sia teatro che cinema e televisione allo stesso tempo.
Dato che hai lavorato per tanti anni in questo ambiente, cosa ne pensi del panorama cinematografico e teatrale dell’Italia contemporanea?
Io non sarei molto negativo, anche perché per quanto riguarda il cinema un paio di anni fa l’Italia ha vinto un oscar con “La Grande Bellezza” di Sorrentino. Molti film italiani vengono apprezzati, distribuiti, comperati all’estero; è il caso di registi come Garrone o , tra quelli un po’ più grandi e della mia generazione Salvatores, anche lui un premio Oscar, Tornatore… Certo non è un’industria solida come sembra quella americana, che però è un altro pianeta, oppure quella francese. Forse la cinematografia francese ha maggiori attenzioni da parte dello Stato, del governo; ritengono il cinema una forma, oltre che d’arte, di propaganda, cosa che il nostro governo non ritiene opportuno fare. Per quanto riguarda il teatro, anche qui abbiamo delle eccellenze che secondo me non sfigurano assolutamente in rapporto al teatro inglese che forse è, per antonomasia, il più prestigioso; o anche in rapporto a quello americano: Lavia, Servillo, Latella… Tutti propongono degli spettacoli a volte anche discutibili da un punto di vista estetico. Il problema è che dal punto di vista delle strutture il teatro italiano si trova di fronte a una grande problematica perché c’è poca tutela nei confronti di chi lavora per il teatro: gli attori, i registi… Non vengono più rispettate le regole, i contratti…questo è un problema vero. Aldilà di tutto questo, ci sono sempre delle punte di eccellenza che danno prestigio al nostro teatro.
Secondo te perché i film di produzione americana o inglese hanno più successo rispetto a quelli di altre produzioni?
Perché c’è un maggiore investimento di denaro e una maggiore attenzione al particolare e perché credo che le scuole cinematografiche inglesi, americane e anche francesi siano più aggiornate. Questo nel senso che uno studente di cinematografia negli Stati Uniti non studia solo cinematografia ma anche sociologia, psicologia, antropologia, poesia; la sua preparazione è dunque più organica e contemporanea.
[sorride] Banalmente mi viene da dire che questo è un mestiere privilegiato, ti dà la possibilità di soddisfare una passione che a volte richiede molta fatica e molta disciplina, però ti dà delle grandi soddisfazioni che possono essere il riconoscimento da parte della critica, del pubblico sia fisico che per quanto riguarda il talento e la bravura. Fondamentalmente è un privilegio fare questo mestiere.