Suicidio assistito e Eutanasia: qual è il problema?


Fabiano Antoniani, conosciuto dal grande pubblico come Dj Fabo, è morto in Svizzera alle 11:40 del 27 febbraio 2017. Lui si è sempre definito un “ragazzo vivace e un po’ ribelle”; conduce la sua vita in perfetto stile Point Break, tra motocross e viaggi adrenalinici, senza farsi mancare momenti di relax in India, paese a cui rimane legato e che visiterà occasionalmente. Il suo lavoro è il Disc Jockey ovvero la figura che trasmette la musica nei pub e nelle discoteche, “suonare per gli altri mi rende felice” dichiarò Antoniani. Tutto perfettamente normale, finché una sera nell’estate del 2014 un incidente lo rende cieco e tetraplegico. Fabo ha passato i suoi ultimi tre anni di vita nel tentativo di cercare cure e contemporaneamente mandare appelli per informare e tentare di rendere consapevoli parlamentari e politici della sua condizione e di quella di migliaia di altre persone in Italia. Infine Fabo decide di smettere di cercare cure e per evitare l’accanimento terapeutico nei suoi confronti parte per andare in Svizzera, dove il suicidio assistito è legale. Dopo essere stato sottoposto a visite psicologiche, Fabo, premendo il tasto con l’unico muscolo da lui controllabile, si inietta nel corpo un sedativo letale; così finisce la storia di Dj Fabo. Il parlamento italiano, sotto la pressione di casi mediatici come quelli di Piergiorgio Welby, Eluana Englaro e in ultimo del buon Fabo da circa un anno ha iniziato a provare a comporre una legge sull’argomento, però è da mesi che la decisione viene continuamente rinviata.

La domanda, quindi, è una: qual è l’effettivo problema di questa legge? I parlamentari si pongono problemi di tipo etico, morale e ovviamente anche la Chiesa ha un suo punto di vista, affermando che niente dovrebbe interferire sul normale andamento della vita. Certo, ottime opinioni, ma prendiamo il caso di Jean-Dominique Bauby. La scrittrice ebbe un ictus, che le paralizzò il corpo intero, eccetto la palpebra sinistra. In queste condizioni, muovendo la palpebra sinistra riuscì a dettare, parola per parola, i suoi pensieri, così da riuscire a scrivere in questo modo il libro “Lo scafandro e la farfalla” . Perciò come ognuno di noi compie delle scelte ogni giorno su come impiegare il proprio tempo e sul cosa fare, non si dovrebbe vietare una libertà di scelta a delle persone la cui sofferenza è inimmaginabile. Se proseguire nel trattamento “curativo” che potrebbe essere considerato accanimento terapeutico, è una decisione che spetta solo e soltanto al paziente in questione, eliminare questa possibilità di scelta è un diritto tolto al paziente. Nei casi come Eluana Englaro, ovvero della totale incoscienza, bisognerebbe ricorrere al testamento biologico (che in Italia ancora non esiste) per cercare di rispettare sempre e comunque la libertà del paziente.

Samuele Neri