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Scopriamo il Cyberbullismo: origine del termine e tipologie

Negli ultimi tempi il fenomeno del cyberbullismo è sempre più diffuso nella società e soprattutto sul web. Ti sei mai chiesto, però, come nasce questo fenomeno e cosa significa esattamente questa parola? Scopriamolo insieme.

Al giorno d’oggi sono pochi i ragazzi sprovvisti delle più moderne apparecchiature tecnologiche. Immaginate di dover vivere senza il vostro nuovo computer, di non poter scambiare messaggi su WhatsApp con i vostri amici dal vostro cellulare, di non poter più ascoltare musica attraverso il vostro dispositivo: sembra pazzia, vero? E’ proprio per questo che le generazioni cresciute negli ultimi 15 anni vengono chiamate quelle dei “Nativi digitali”, termine coniato dallo scrittore statunitense Marc Prensky. L’evoluzione tecnologica e l’avvento dei nativi digitali ha prodotto un cambiamento nella cultura di massa, introducendo aspetti sia positivi che negativi. Partendo dal presupposto che sul web possiamo considerarci dei veri e propri “cittadini digitali”, possiamo individuare varie categorie di cittadini, tra i quali quelli che effettuano un uso consapevole e intelligente della rete internet e, purtroppo, persone che usano questo mezzo in modo improprio e per fini dannosi. In questo contesto, l’anno successivo alla prima definizione del termine “nativi digitali”, ossia nel 2002, un nuovo fenomeno inizia a manifestarsi sul web: il cyberbullismo. Il termine fu inventato dall’educatore canadese Bill Belsey, il quale unisce la parola “cyber”, un prefisso di una parola utilizzata in ambito informatico, in particolare quando si tratta d’Internet, e la parola “bullismo”, che deriva dall’ inglese bullying, cioè un attività svolta da chi, con grande e disumana cattiveria, si diverte a molestare vittime percepite come incapaci di difendersi in modo adeguato, nascondendo la propria vigliaccheria in apparente forza e prepotenza. Col passare degli anni, al termine sono stati accostati vari significati fino a quando, nel 2006, l’educatore canadese studioso di bullismo Peter Smith insieme ai suoi collaboratori diede una definizione definitiva di cyberbullismo:

una forma di prevaricazione volontaria e ripetuta, attuata attraverso un testo elettronico, agita contro un singolo o un gruppo con l’obiettivo di ferire e mettere a disagio la vittima di tale comportamento che non riesce a difendersi.

Nel 2006, la direttrice del Center for Safe and Responsible Internet Use statunitense, Nancy Willard, ha proposto una categorizzazione del fenomeno, basata non sugli strumenti utilizzati ma sul tipo di comportamento. Le tipologie di cyberbullismo individuate sono sette, e sono attualmente prese in considerazione per distinguere i vari casi:

Flamming: l’invio di messaggi violenti e scurrili, con l’unico scopo di creare conflitti verbali all’interno della rete fra due o più persone. Flame è un termine inglese che vuol dire fiamma, da cui deriva il comportamento di “accendere” una discussione verso una o più persone.

Harassment: molestie effettuate tramite canali di comunicazione con azioni, parole e comportamenti persistenti verso una singola persona, che causano disagio emotivo e psichico, creando una relazione sbilanciata tra il cyberbullo e la vittima, che subisce passivamente le molestie, senza potersi difendere e porre fine ad esse.

Denigration: divulgazione nella rete o tramite sms di fake news (notizie false), allo scopo di danneggiare la reputazione o le amicizie della vittima. Le nuove tecnologie digitali, come i social network, permettono di compiere questo atto di cyberbullismo con estrema facilità e rapidità: in poco tempo, moltissime persone potranno essere a conoscenza di queste affermazioni diffamatorie. Il processo di denigrazione colpisce generalmente aspetti centrali della personalità del soggetto come l’orientamento sessuale, l’appartenenza etnica, difetti fisici, difficoltà scolastiche e situazioni familiari.

Cyberstalking: con questo tipo di cyberbullismo si evidenziano tutti quei comportamenti che, mediante l’uso delle nuove tecnologie, sono effettuati per perseguitare le vittime allo scopo di infastidirle, molestarle e terrorizzarle facendogli pensare di non essere più al sicuro neanche tra le mura di casa.

Impersonation: il cyberbullo si appropria dell’identità virtuale della vittima e compie una serie di azioni che ne danneggiano la reputazione: può aprire un nuovo profilo sui social network fingendo di essere la vittima oppure può agire da hacker per ottenere le credenziali d’accesso all’account della vittima compiendo azioni dannose.

Tricy o Outing: la particolarità di questa forma è una forte intenzione da parte dell’artefice di ingannare la vittima. In questo caso il cyberbullo cerca di guadagnare la fiducia della sua vittima per acquisire informazioni da diffondere online al fine di danneggiarne la reputazione.

Exclusion: escludere intenzionalmente qualcuno senza motivo da un gruppo online come gruppi WhatsApp e Facebook, chat varie, forum e anche giochi online.

Nel 2007, poi, è stata introdotta dall’educatore Smith una nuova forma di cyberbullismo:

Happing shapping (schiaffo allegro): il cyberbullo, da solo o in gruppo, riprende la vittima con lo smartphone mentre la picchia. Il video poi viene pubblicato sul web allo scopo di deridere la vittima.

Questa categorizzazione è ovviamente indicativa ed in continua evoluzione con lo sviluppo delle nuove tecnologie e con il susseguirsi delle generazioni, infatti una vittima può subire anche altre forme di cyberbullismo, che ogni giorno vengono praticate senza scrupoli.

Dati recenti raccolti dalle professoresse italiane di psicologia all’Università degli studi di Firenze Menesini e Nocentini (2012), che hanno indagato l’incidenza del cyberbullismo in diversi paesi europei tra cui l’italia, affermano che nel nostro paese su un campione di 295 ragazzi (121 maschi e 174 femmine) di età media intorno ai 13 anni, tra le pratiche di cyberbullismo più diffuse vi sarebbero flamming, commesso dal 17,8% dei maschi e l’8,7% di femmine, la denigration che coinvolge il 10,2% dei ragazzi e il 6,9% delle ragazze, l’impersonification che vede coinvolti il 6,2% dei ragazzi e 4,1% delle ragazze, mentre l’8,4% dei cyberbulli e il 3,8% delle cyberbulle, pratica invece l’exclusion dai gruppi di amici online.
Generalizzando, invece,
quest’anno è dell’ 8,5% la percentuale di ragazzi tra i 14 e i 18 anni che subisce cyberbullismo nel nostro paese mentre lo scorso anno era del 6,5%. Il 59% delle vittime di bullismo online hanno pensato al suicidio; l’82% dei ragazzi bullizzati sul web si dicono depressi; il 71% delle vittime soffrono di crisi di pianto. Infine, è del 10% la percentuale di ragazzini tra gli 11 e i 13 anni che subisce cyberbullismo (dati dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza e di Skuola.net per la campagna della Polizia Postale “Una vita da social”).
Il cyberbullismo possiamo combatterlo attraverso la conoscenza, l’informazione e l’educazione. Il compito degli adulti e dei genitori è quello di educare i più piccoli ad un corretto uso della tecnologia, aiutandoli a prendere coscienza dei rischi di Internet e ad assicurandosi che le relazioni tra ragazzi sul web siano sempre costruttive e positive partecipando periodicamente a corsi o seminari sull’argomento tenuti dalle scuole e informandosi sulle leggi esistenti sul cyberbullismo in Italia.
Diciamo
#StopAlCyberbullismo!


Santolo Barretta