No all’illegalità, le regole sono importanti

Questo il messaggio fondamentale trasmesso agli studenti dal giudice Gian Carlo Caselli, che è stato ospite della nostra scuola l’11 maggio

di Danilo Spiro

L’illegalità è un tumore che il nostro Paese sembra non riuscire a sconfiggere. L’evasione fiscale, la corruzione e le mafie sottraggono illecitamente dall’erario miliardi di euro ogni anno e rapinano colossali risorse che, se fossero utilizzate, migliorerebbero sensibilmente il nostro tenore di vita.

Il giudice Gian Carlo Caselli, ex-magistrato della Repubblica e attuale presidente del comitato scientifico dell’Osservatorio contro le Agromafie, è un uomo che ha avuto a che fare con la criminalità per la maggior parte della sua esistenza.

Fu procuratore a Torino ai tempi delle Brigate Rosse e a Palermo subito dopo l’efferato assassinio di Giovanni Falcone e, poco dopo, di Paolo Borsellino. Vive sotto scorta ormai da anni e, dopo essersi ritirato dalla magistratura nel 2013, continua la sua attività a fianco delle Istituzioni e della legalità nell’ambito dell’Osservatorio fondato da Coldiretti, poco conosciuto forse, ma fondamentale per la sua opera di studio e di ricerca.

Le sue parole, quindi, non sono casuali, né leggere: parla con profonda cognizione di causa.

Forse è poco risaputo che uno dei settori principali della nostra economia, ossia quello alimentare, è anche quello più colpito e bistrattato da parte di azioni illecite e illegali. L’agroalimentare viene definito, infatti, settore “freddo” perché produce nonostante la crisi: sostanzialmente, di cibo ce n’è sempre bisogno. Anzi, grazie al celeberrimo “Made in Italy”, è uno dei pochi che riesce anche a crescere.

Il problema sono le mafie, e in generale l’illegalità, che hanno trovato nel cibo italiano un’inesauribile sorgente di profitto e in un solo anno il loro business è aumentato del 30% (per chiarimenti riguardo i dati citati e per saperne di più sull’argomento si consiglia vivamente di consultare il sito dell’Osservatorio)

Il giudice Caselli, ospite della nostra scuola lo scorso 11 maggio, afferma però che l’Italia è addirittura il migliore tra i paesi europei per quanto concerne i controlli, che “tutti ci invidiano”, e il motivo di questo accanimento mafioso sull’agroalimentare va piuttosto ricondotto “alla nostra normativa che è obsoleta e finisce talvolta con l’assumere una funzione criminogena”.

Proprio per questo l’ex-magistrato è stato inserito nella commissione, voluta dal ministro Orlando, che si è occupata di abbozzare un progetto di riforma per i reati agroalimentari, evidentemente fino ad ora presi sotto gamba.

Il disegno è pronto e consta di 49 punti che, per la loro portata innovativa, sono stati perfino presi a modello in una risoluzione di argomento analogo adottata a Pechino. Tuttavia, dato che “nemo propheta in patria”, questa bozza si è arenata, come troppo spesso accade, al Consiglio dei Ministri e da ben dieci mesi è stata messa nel cassetto.

Ma, al di là dei cavilli burocratici e delle pratiche amministrative, è evidente che il nostro Paese abbia bisogno di una legislazione più attenta e rigorosa riguardo i reati agroalimentari, i quali costituiscono, anche se spesso non se ne sente parlare, un’importante percentuale di quelli a sfondo mafioso.

Avviandosi alla conclusione, il giudice Caselli ha tenuto a sottolineare che la legalità non deve essere avvertita come un fastidio – come spesso accade – ma anzi corrisponde in toto al nostro interesse. Essa non è altro che il potere di chi ha bisogno di confermare i propri diritti. È la nostra mentalità che talvolta è sbagliata e assai poco lungimirante: le regole ci sono necessarie “per crescere in diritti ed uguaglianza”.

I miliardi – 330 per l’esattezza – di soldi pubblici che ci vengono derubati ogni anno da alcuni nostri concittadini criminali potrebbero essere investiti nel nostro futuro in un’ottica di giustizia sociale, se solo si riuscisse a comprendere che ogni recupero di legalità è un recupero di risorse fondamentali per il nostro Paese