Un giorno in ambulanza

È domenica mattina in quel di Campo di Marte ed io mi dirigo a piedi presso la Misericordia di San Pietro Martire in Viale Paoli. È una giornata particolare, infatti oggi la sede dell’associazione è circondata dalla festosa atmosfera della Maratona di Firenze. Sono le ore 8 di mattina, l’ambulanza B1_Paoli è stata controllata a fondo e l’equipaggio è pronto a partire al segnale della campanella. Dopo pochi minuti suona il telefono della centrale. Siamo richiesti. C’è chi chiacchiera, chi spazza foglie, chi chatta al cellulare; ma quando scatta la campana, il mondo si ferma e la mente corre lesta al computer dell’ambulanza. È un codice giallo nella zona di Rovezzano: un uomo intossicato per strada. Giacomo, al volante del mezzo, accende i dispositivi d’emergenza e molto prudentemente esce dal cancello della sede e imbocca viale Cialdini facendo lo slalom tra le recinzioni preparate per la maratona. A bordo siamo tutti indaffarati: Laura contatta il 118 per confermare il servizio, Sandro segna i dati sul foglio del servizio e io distribuisco i guanti e preparo lo zaino e il monitor multiparametrico. Nonostante il traffico, giungiamo sul posto abbastanza in fretta, ma sempre con prudenza: l’importante è sempre arrivare, non fare le corse. Scendiamo dall’ambulanza e ci troviamo davanti ad un ragazzo di colore bagnato come un pulcino raggomitolato su se stesso. Accanto a lui un babbo coi suoi bambini che, uscito di casa, lo ha trovato ed ha chiamato il 112. Il ragazzo non parla italiano, è confuso e al limite dell’ipotermia. Gli chiediamo cosa gli fosse successo e perché fosse così bagnato. In inglese il ragazzo ci dice che è stato gettato nel fiume Arno, che scorre lì vicino, probabilmente perché qualcuno gli ha fatto un agguato. Lo mettiamo in ambulanza e iniziamo a prendere i suoi parametri vitali. Il padre dei bambini, molto gentilmente, ci porge dei vestiti asciutti da far indossare al nostro paziente, che pare essersi un po’ tranquillizzato. La storia di questa persona è molto difficile: ci racconta che veniva dal Sud della Libia e continuava a ripetere che sua moglie e sua figlia erano state uccise durante la guerra e che lui ha attraversato il mare a bordo di uno di quei barconi della morte di cui tanto si parla ultimamente. Mentre gli mettiamo i vestiti asciutti, scopriamo il perché del suo stato confusionale tendente al delirante: le sue braccia sono tempestate di segni di siringhe. Giunge una pattuglia dei Carabinieri: i due militari ci dicono che il ragazzo “abita” da quelle parti ed è già noto alle forze dell’ordine. Improvvisamente il giovane libico diventa inquieto, pare che abbia una crisi: i militari scendono e Laura tempestivamente avverte la centrale 118 per ricevere istruzioni sul da farsi e se possibile l’intervento dell’automedica. Non ci viene accordato l’appoggio ma ci viene data la destinazione: l’Ospedale di Ponte a Niccheri, a Bagno a Ripoli. Siamo di nuovo in strada diretti in Pronto Soccorso e il baccano della sirena dell’ambulanza si mescola alle grida del paziente molto agitato che continua a ripetere il destino tragico della moglie. Lungo il cavalcavia Marco Polo il ragazzo si rivela un osso duro da gestire: alterna momenti di quiete ad attimi di violenza verbale e tentativi di divincolarsi; ci insulta e cerca pretesti per attaccarci. Finalmente siamo arrivati in Ospedale dove si ripete il copione del viaggio in ambulanza: ancora insulti, ancora scarsa collaborazione da parte del ragazzo (privo di documenti) e soprattutto tanta, tanta amarezza, l’unica emozione che mi suscita questa scena. La mattinata è poi proseguita con due incidenti in scooter e una caduta domestica, ma niente di particolarmente grave, per fortuna. Mi è rimasto impresso quel ragazzo a lungo, esule abbandonato che come ogni persona cerca una via per sopravvivere nella giungla urbana mentre là sui social network la gente parla un sacco ma non vede i fatti: fa più comodo aggrapparsi a ciò che dice un personaggio politico invece di mettersi in gioco per il prossimo. Questo è il volontariato, mettersi in gioco per il prossimo, ma ci dimentichiamo che tutti possiamo farlo ma in pochi hanno intenzione di aiutare. E se tutti aiutassero, questo mondo sarebbe un posto migliore.
Cosimo Savelli 4E