Una faccina, mille significati

Emoticons, emoji o faccine: in qualunque modo vengano chiamate, stanno diventando oramai di utilizzo comune, in alcuni casi vanno addirittura a sostituire i vocaboli. Perché dovrei scrivere una parola intera, se posso mandare una faccina colorata e, non solo risultare più veloce, ma anche più divertente? Il fenomeno delle emoji è così tanto in espansione che tra qualche anno potremmo assistere all’affermazione di un linguaggio universale privo di alfabeto.
Ma come le parole, anche le emoticons possono modificare la percezione che gli altri hanno di noi. Ad indicarlo è un lavoro pubblicato su Trends in Cognitive Science, dalla cyber psicologa Linda Kaye, dell’università britannica di Edge Hill. Oggi più del 90% della rete è solito usare emoji in testi scritti, pare infatti che il 40% delle didascalie utilizzate presentino più di una emoticon. La Swiftkey ha condotto una ricerca sull’utilizzo delle emoji da parte del mondo. Infatti sembra che cittadini di differenti nazioni facciano più o meno utilizzi diversi delle faccine. I finlandesi sono quelli che ne fanno più uso (63%), seguiti da francesi (50%) e inglesi (48%); tocca poi ai tedeschi, russi e italiani (40%), per arrivare infine agli Stati Uniti (38%).
L’uso delle faccine non è solo un fatto generazionale, anzi, un’indagine condotta nel 2014 su mille americani ha indicato che solo il 54% che ne fa utilizzo è compreso tra i 18 e 34 anni. Il resto sono adulti se non anziani. Questa forma di comunicazione sembra infatti più legata al carattere che all’età. La mancanza di una comunicazione gesticolata o espressiva, viene sostituita dalle emoticon, che in qualche modo riescono ad esprimere ciò che non può esprimere il testo, ma solo una comunicazione faccia a faccia. Le persone formulano giudizi su di noi in base al nostro utilizzo delle emoticons, e di questo bisogna essere consapevoli in una chat: una faccina che fa la linguaccia potrebbe essere tanto gradita ai nostri familiari quanto spiacevole per un collega di lavoro.
L’uso di immagini non si è solo diffuso tra le chat e i social network, le emoticons adesso prendono posto anche nelle pubblicità, è il caso della Groupama Assicurazioni che ha introdotto le emojii nello spot pubblicitario di alcuni antifurti. Questo utilizzo eccessivo delle faccine pare sia dato dal fatto che il nostro cervello non riesca a riconoscere la differenza tra una faccina sorridente e un vero sorriso. Ad affermarlo è stato lo studio condotto dalla Social Neuroscience. Gli esperti hanno chiesto a 20 studenti di guardare una persona che sorride e successivamente la classica emoticon dello smile. Osservando la loro reazione neurale nelle due situazioni è emerso che il cervello risponde nello stesso modo. Questa scoperta dimostra quanto il nostro cervello sia veloce ad adattarsi. In trent’anni è riuscito a prendere l’emoji sorridente come uno stimolo a sorridere.
Ma se è così veloce ad adattarsi, è possibile che l’attuale scrittura sia in futuro sostituita da simpatici pittogrammi colorati?
Alessia Priori 1B