Il mio reportage (di fantasia) di viaggio in Camerun.

Senza lasciarmi porgere due volte la domanda… Vado. Sarà bello? Sarà brutto? Non so. Cammino. Viaggio. Mi fermo per la prima volta. Disperato. Stremato. Con tanti giovani che seguono la mia ombra. Yaoundé. Capitale del Camerun. Che bello! Mi butto per terra. Non ne posso più. Il viaggio non finisce. Sono stanco. I camerunensi mi guardano. Non mi dicono nulla. Sono là, solo ad osservare. Si va avanti. Buio pesto. Uccelli. Rapaci. Alberi. Foglie. Rumori. Non so cosa sia. Non sono solo, per fortuna. Ci accampiamo. Non siamo molto calmi. Non è la nostra terra. È un’altra. È diversa. È più calda. È più grande. Non è la terra che io conosco. Il mattino dopo ci svegliamo. Ho ripreso le forze, come tutti i miei giovani colleghi. Continuiamo il nostro viaggio. Sono solo le 5:45 del mattino. Caldo. Stanchezza. Voglia di riposare. Voglia di arrivare da chi ci aspetta. Camminiamo. Molto spesso guardo i miei piedi. Ogni volta vedo che sono sempre più gonfi. C’è chi piange. Chi si ferma e per raggiungerci deve percorrere tanta strada correndo. C’è chi vuole vincere questa “battaglia” e andare avanti. Ci sono io che mi lamento in sottovoce e vado avanti a passo lungo. Ci fermiamo un’altra volta. Sono le 21:33 di sera.

Ore pesanti. A camminare. A correre. A disperarci. A sentire la mancanza della famiglia. Ci fermiamo. Ceniamo. Cerchiamo di non finire le provviste. Mangiamo solo un piccolo panino. Nient’altro. Ci accampiamo.

È mattina. Dobbiamo dirigerci in un luogo dove si trovano i bambini. Al “on the border with the chad” (al confine con il Ciad). Non è vicino. Ci vorrà tempo. Resisteremo. Ce la faremo. Sono le 6: 19 del mattino. Non è tardi. Non è presto. Le gambe son morte. Noi siamo più là che qua. La nostra stanchezza è molto presente. Aiuto! Grida qualcuno. La situazione non è migliorata.

Boom! Si sente un forte rumore.

Panico. Paura. Vorremmo correre. Non possiamo.

Ci ritroviamo circondati.

Da bombe. Polvere da sparo. Silenzio assoluto.

Non si vedono persone. Ma c’è qualcuno. Ci mettiamo tutti uno sopra l’altro e creiamo una sorta di muraglione protettivo.

Poi succede qualcosa. Si sentono forti grida. Non sappiamo chi sia. Non vediamo. Sentiamo solo.

Nessuno è tranquillo. Io singhiozzo a tratti. Non è fantasia. È tutta verità. Apro gli occhi. Niente più bombe. Siamo liberi. Ci alziamo. Corriamo. Gridiamo. Qualcuno piange. Io cerco di correre come un fulmine. Sono stanco. Non posso più correre. Devo rallentare il passo. È notte. Buio pesto. Non si vede nulla. Solo oscurità. Sono le 23:59. Siamo arrivati. Io ho con me uno zaino. Ci sono bambole. Macchinine. Mi sono state regalate da alcuni bambini di una scuola elementare, come dicevo all’inizio del mio viaggio. Ora porgo alle bambine le bambole e ai maschietti le macchinine. Sono felici. Ora ci riposiamo. Domani mattina si riparte. Orario di partenza previsto per le ore 04:43. Partiamo molto presto. Ci aspetta un lungo viaggio a piedi per raggiungere l’aeroporto e tornare nella fredda Milano. Quando saremo arrivati in Italia, sarà già primavera…

Elena Civico classe V A Primaria Trivento