Il diritto di contare, un film che conta davvero

Avete presente quando si mangia il gelato tutto d’un fiato e poi malauguratamente ci viene il mal di testa? Ecco, esistono certe pellicole indimenticabili che, anche se si vedono tutte d’un fiato, non causano alcun mal di testa, a differenza del caro vecchio gelato. Mi riferisco a “Il diritto di contare”, uscito, non a caso, l’8 marzo 2017. Dico non a caso perché, come tutti sanno, l’8 marzo si celebra quella che comunemente è definita “festa delle donne”. E sono proprio le donne, qui, a svolgere un ruolo mai così importante e decisivo fino a quel momento della storia. Qualche coordinata per orientarvi meglio: Virginia. Sede Nasa. Anni Sessanta. Al culmine della protesta antirazziale, in un mondo fatto prevalentemente di bianchi scienziati molto abili nei calcoli ma privi di umanità; in mezzo a questa pagina “bianca” della storia, emergono delle vere e proprie figure “di colore”, non solo per quanto riguarda la pelle ma anche perché moralmente di spicco: Katharine, Dorothy e Janelle. Tre donne che, insieme, cambieranno tutto. Rivoluzioneranno con tacito impeto ma anche tanta grazia, ingegno e femminilità, il mondo maschilista, gretto e razzista della Nasa. Sono delle scienziate, e una di loro, Janelle, è un’aspirante “ingegnera”; un’altra, Dorothy, addetta alla supervisione delle “calcolatrici”umane; per non parlare poi di Katharine, capace di calcolare anch’essa meglio di qualunque altro aggeggio le traiettorie delle astronavi. Il mondo carico di pregiudizi intorno a loro non le apprezza fino in fondo, considerandole delle mere “hidden figures”, come chiosa brillantemente il titolo del film in inglese, tradotto invece in italiano con il gioco di parole sul duplice significato di “contare”. Da un lato il titolo italiano fa notare il carattere incisivo, penetrante e roboante delle tre scienziate, presentate un po’ come delle “donne alla riscossa”, mentre il titolo originale, dai toni più sommessi, ce le presenta più “in sordina”, sottolineando la mancata notorietà di questi personaggi letteralmente “spaziali” ma purtroppo sconosciuti sulla Terra… almeno fino all’uscita di questa perla cinematografica. Il suo messaggio è chiaro e distinto: come scandisce in poche parole la locandina del film: “Il genio non ha razza (…) Il coraggio non ha limiti”. È per caso stato dichiarato scientificamente che il colore della pelle influenzi il nostro comportamento, rendendoci diversi, degli alieni, oppure che cambi il nostro modo di pensare, di riflettere, di “contare”? Il film mostra come questo non sia assolutamente possibile: che appunto il genio non abbia razza, e che il vero colore che conta non è quello della pelle, ma quello dell’anima, quello del cuore. Molto curate le riprese, sopratutto per quanto riguarda l’accuratezza con cui sono inquadrati i personaggi, visti a tutto tondo e in tutte le loro sfaccettature. Di Katharine, Dorothy, Janelle conosciamo, infatti, non solo le straordinarie abilità a fare i calcoli ma anche la loro dolcezza di figlie, mogli, madri… in sintesi, di donne (come si nota dalle scene in cui figurano gli astronauti, ma anche dal fidanzamento di Katharine con l’ufficiale e dal dialogo amabilissimo con le figlie). Un inno alla libertà, dunque, simile per certi versi a quanto cantava nei primi anni Ottanta Paul McCartney nella sua hit “Ebony and Ivory”, in coppia col grande Stevie Wonder: “Ebano e avorio, vivono insieme in perfetta armonia nella tastiera del mio pianoforte”. È possibile vivere neri e bianchi in sintonia alla Nasa e… nel mondo? Risponderà senza mezzi termini il grande Kevin Costner: “Alla Nasa la pipì ha lo stesso colore per tutti”. Perché è dagli opposti che nasce bellissima armonia, non è vero? E poi, tanto per proseguire questa mia stentata ringkomposition con la metafora culinaria del gelato: non è forse panna e cioccolato l’accoppiata vincente? Quella più gustosa? Quella che più conta? Il film “Il diritto di contare” ci ha portato a parlare delle donne, del razzismo e… del gelato. Non è forse per questa sua gustosissima versatilità davvero un film che conta?
Chiara Donati – Classe 4D