Il prezzo da pagare – Racconto

Li avevano chiamati di nuovo da quella strana agenzia, sempre per il solito motivo: l’annuale interrogatorio da IM9987, macchina specializzata nella supervisione dell’andamento emotivo delle controspie del nuovo millennio. Era il 2100. Di agenti come loro, esperti nelle relazioni internazionali e commerciali, dalla fine della Terza Guerra di Saturno, come noccioline in mano ad un obeso, era pieno il mondo, ma la selezione diventava sempre più dura. Il rottorio era che dovevano prendere il primo treno diretto per San Francisco e recarsi direttamente in Market Street, alla sede dell’agenzia. Diane e Robert erano i due interessati. Lui, donnaiolo di vecchio stampo, divorziato, senza figli, di personalità molto fredda e distaccata, ma ironica e pressoché lineare, nonostante sapesse riservarsi anche lui le sue furenti pazzie… al femminile. Lei, la tipica single sognatrice, non ostinata né inacerbita dalle delusioni della vita, di una personalità esuberante,vivace, spontanea e terribilmente generosa, covava un segretissimo affetto per il fascino alla Gregory Peck del suo compare in azione. Si sarebbe addirittura candidata molto volentieri per il ruolo femminile del sequel dell’ormai preistorico 007 “La spia che mi amava”, se mai ce ne fosse stato uno… Il titolo calzava a pennello alla situazione. Erano del resto due tipi un po’ opposti. E proprio qui sorgeva il problema. Grandi, anzi grandissimi insieme, fintanto che pedinavano qualcuno o lavoravano per qualche servizio esclusivo, o addirittura premevano il grilletto delle loro pistole d’oro. Ma una volta finito l’orario di lavoro, addio a tutto il resto. Come una bolla di sapone, la cosiddetta magia si interrompeva. Lei lo avrebbe anche volentieri invitato a prendere un caffè nel bar più vicino, per fare quattro chiacchiere, ma gli sguardi di lui promettevano solo una forte solidarietà lavorativa, cameratismo filiale, certo, ma niente altro. Fatto sta che dovevano pur arrivare a questo fatidico incontro con IM9987. In pratica, una sorta di esame di ammissione alla professione di spia per l’anno successivo. Niente di pericoloso. Si trattava, ormai lo sapevano bene, di discorrere amabilmente con una macchina gigante per qualche minuto. Ogni anno cambiavano gli argomenti di tale discussione: una volta capitarono le sonde caveteriche marziali, l’anno dopo l’alimentazione nei boeings di linea dell’Antartide, ad esempio. Tutti argomenti inerenti alla validità della loro professione di agenti segreti: se ti dimostravi competente e all’occorrenza sicuro di te, allora passavi. Il mondo del controspionaggio americano del resto era diventato via via sempre più rigido, e dato che i pretesti per dei conflitti nucleari finivano per spuntare come funghi, bisognava avere individui della stoffa giusta per documentarli con le giuste parole e, possibilmente, ovviarli. Per questo IM9987 si riservava una piccola punizione per chiunque non soddisfacesse il “programma”. Cose di tutti i giorni. Quest’anno, assicurava l’agenzia, la discussione sarebbe stata completamente diversa, ma lieve e indolore, perché sarebbe bastata una sola ed unica risposta per convalidare la prova. Diane e Robert erano arrivati alla stazione di San Francisco ed erano alla ricerca di un taxi che li portasse in un baleno nella sede dell’esame. Erano in ritardo. “Credi che passeremo?” gli chiese Diane sul taxi mentre si acconciava i lunghi capelli biondi in un finissimo chignon. Le sue mani tremavano un po’. Robert non le rispose. Diane si girò sconsolata dall’altra parte. A volte era come se non la sentisse, o la ignorasse, addirittura, di proposito.
***
“Potete accomodarvi. IM9987 vi sta aspettando. Uno per volta, però. Prima lei, signore” disse una donna vestita di rosso all’interno di una stanza bianca perlacea, quasi accecante dell’edificio in Market Street. Robert entrò in una porticina che dava in una stanza nerissima. Ne uscì con indolente nonchalance qualche minuto più tardi. “Una passeggiata! Mai colloquio è stato più insignificante di questo. Un trastullo! Ma per chi ci ha preso quel rottame? Comincio a credere che perda progressivamente colpi!” disse, ridacchiando e sistemandosi i baffetti, rivolto a Diane, dal canto suo alquanto preoccupata. Non si fidava delle sue superficialissime e affrettate parole. In fondo, erano così diversi…
Adesso toccava a lei. Diane, titubante, aprì la porticina .Nella stanza molto tetra poté scorgere una luce gialla lampeggiare.”Si sieda pure”, la voce metallica della macchina intimorì Diane.”Bene, ora risponda brevemente”. Diane deglutì. “Chi paragonerebbe a un giorno d’estate?” esordì la macchina con un chiarissimo riferimento shakespeariano. Diane pensò subito a Robert, s’illuminò nel volto e, con voce addolcita, rispose, ingenua. Tutto quello che poi sentì o provò svanì con il gas mortale che la macchina fece uscire dalle fessure della stanza. Quel giorno Robert uscì solo da quel malefico edificio di Market Street: nemmeno poi tanto scosso della morte della compagna di lavoro, che questa volta non aveva evidentemente superato la fatidica prova. “Mi doveva 10 dollari, peccato…” pensò d’impulso. Si sistemò nuovamente i baffetti e prese il primo taxi disponibile. Forse amare gli costava troppo.
Chiara Donati – Classe 4D