L’istinto del predatore – Racconto

Improvviso scroscio d’acqua. Umidità. Fitta vegetazione. Questo è l’ambiente che circondava Homar, il piccolo gatto maculato della giungla del sud.
Il felino, dagli occhi gialli brillanti, vagava nelle ore oscure per i rami della fitta foresta. La luna brillava in cielo, col suo giallastro bagliore. I suoi argentei raggi filtravano fra le enormi foglie dei possenti alberi, mentre Homar, col passo felpato, sgattaiolava sui rami intricati, avvolti come da una sciarpa di liane e di edere.
Le unghie del micio si impiantavano nel legno come due pallidi puntini nell’oscurità: è questo ciò che uno poteva vedere nei dintorni del territorio di Homar.
Al rintocco della mezzanotte, un’anima veniva strappata dal mondo terreno. Una zampata e un cucciolo di topo giaceva a terra. Molto spesso rimaneva lì, con gli occhi chiusi, disteso sul prato fangoso. Homar adorava uccidere per divetrimento: lui difatti si cibava di farfalle o piccoli rospi. È solo che amava vedere i piccoli topolini morire nell’oscurità.
Il suo vantaggio era quello di vedere benissimo al buio, ed in effetti di giorno molto spesso dormiva, nascosto nella cavità di un tronco. Ed ogni volta che il sole, rosso come il tuorlo d’uovo, si eclissava dietro le montagne e cedeva il posto alla notte stellata, Homar usciva furtivamente dalla sua tana e con un sorriso smagliante e ambiguo sul muso, cominciava a saltare da un ramo all’altro. Le sue piccole e affilate zanne brillavano nel buio.
Ma una sera calda e secca d’estate, di cui pochi abitanti della giungla serbano memoria, Homar cambiò, e non poco. Mai nessuno lo vide più nella foresta, a meno che ciò che io ho sentito su questo fatto non sia la vera storia…
Homar fu destato dal chiarore lunare che si infranse sul suo muso peloso. Dopo essersi stiracchiato, si avviò alla ricerca di qualche innocente vittima. E anche quella sera sarebbe stato sparso sangue gratuito.
Sceso dall’albero, camminò lentamente per lo scosceso sentierino brullo, a tratti con batuffoli d’erba o pozzanghere fangose, create da un precedente acquazzone.
Improvvisamente, e per sua “fortuna”, vide spuntare da dei cespugli, la codina di qualche roditore, che scodinzolava allegramente. E ciò lo rese più felice dell’allegria del topo.
Il felino saltò sulla sua preda, afferrando con le sue affilate unghie la coda, quando… la coda si ritirò fra i rovi e un’alta figura, come un’ombra, dagli occhi fiammeggianti, si alzò in piedi, sovrastando gli arbusti e perfino Homar, che abbassando le orecchie e la coda indietreggiò spaventato.
L’ombra, dalle sembianze di un topo gigante, ruggì in modo tuonante, facendo sobbalzare Homar, che fuggì, zampettando velocemente e tremando. Il roditore enorme inseguì sbraitando il felino, con le fauci enormi, dalle quali colava una bava grigiastra. Gli occhi fiammeggiavano rossi scarlatti nell’oscurità e, man mano che Homar continuava a correre, gli sembrò di vedere sempre meno, come se la sua vista notturna stesse scomparendo.
Ed è proprio quello che successe: infatti, quando riuscì finalmente a seminare la bestia, nascondendosi in una nicchia nella roccia, sulla riva di un fiume. Homar non vedeva nullla, sentiva solo il fiume nero e freddo gorgogliare fra le rocce.
Il felino si chiese cosa fosse mai successo e per la prima volte provò paura durante la notte. Homar iniziò a piangere, rannicchiato nell’incavità nella pietra. Anche se era estate, provò molto freddo e a volte gocce oscure del corso d’acqua si infrangevano contro di lui e spesso grandi onde spumeggianti rischiavano di trascinarlo via. Nessuno ne seppe mai più niente, ma i topolini locali ben presto si accorsero di come fosse migliorata la loro vita in assenza del loro usuale predatore…
Federico Spagna – Classe 2C