Missione: rinascita – Racconto

Era in fuga da troppi anni ormai, doveva riuscire ad ultimare la missione o la salvaguardia dell’universo sarebbe stata compromessa. Non poteva permetterlo: era l’ultimo dell’antica razza janthaiana, i guardiani dell’ordine galattico, e il suo compito era ristabilire l’equilibrio.
Il comandante Oska ricordava bene il giorno in cui, milioni di anni prima, il loro mondo era caduto tra le fiamme degli Invasori e le loro sicurezze erano state minate; ricordava le grida, il fuoco, l’orrore. Le sue certezze e l’illusione che il loro fosse un paradiso immortale erano svanite, distrutte come il luogo che chiamava casa.
Ora vagava di sistema in sistema, alla ricerca del pianeta giusto per completare la sua missione, sempre più debole ma sempre più determinato.
Il comandante si affrettò verso la sala di comando della “Theia”, la nave con cui da anni vagava per l’universo; questa volta si sarebbe diretto verso la Freccia del Cacciatore, un braccio inesplorato della galassia di Ellyss, uno degli ultimi posti in cui cercare.
“Chissà, magari questa è la volta buona” si disse, mentre armeggiava convulsamente sul pannello dei comandi con le mani diafane e azzurrine.
– Il viaggio durerà all’incirca tremila anni – lo informò il computer. Un viaggio veloce: per lui, appartenente una razza di guardiani e custodi dell’universo, un anno era come un battito di ciglia, solo una minuscola data da archiviare nello scorrere del tempo.
– Speriamo che questa stella non ti danneggi troppo, piccolina – disse affettuosamente alla nave. La Theia era minuscola rispetto alle maestose astronavi dell’età dell’oro, grandi come supernove.
– Che la fortuna ci segua – mormorò a sé stesso mentre scendeva nella parte più interna della nave, dove era custodito con la massima cura il suo più grande tesoro.
Oska andava laggiù ogni volta che poteva, in quella stanza piena di teche si celavano gli elementi fondamentali per la vita, le reazioni che avrebbero portato alla creazione di meraviglie mai esistite, alla nascita di qualcosa di più grande, di una nuova casa e di una leggendaria oasi di pace nell’universo.
All’improvviso un forte scossone fece ondeggiare la nave, facendolo cadere; si precipitò verso la sala di controllo, dove il pannello dei comandi sembrava impazzito, con le spie che lampeggiavano veloci e la voce del computer che gracchiava frasi sconnesse: – Siamo andati fuori rotta, comandante… guasto del motore… impatto contro un pianeta neonato… perdita di carburante… poco tempo… poco tempo…
Il generale cercò di rimanere calmo, inviò gli ultimi comandi al computer e ritornò nel centro della nave, dove avrebbe tentato qualcosa di disperato: le teche non erano state danneggiate, fortunatamente.
Grazie alle straordinarie tecnologie, rimaste intatte dall’età dell’oro, avrebbe potuto fare di quel pianeta squassato dalle forze titaniche di sismi e vulcani un paradiso di vita.
Si affrettò: doveva calcolare le dosi in maniera impeccabile, tenendo conto della miriade di variabili che si sarebbero potute presentare. Per una volta non avrebbe custodito la storia: l’avrebbe scritta.
Combinò tutti gli elementi nel Miscelatore, che avrebbe moltiplicato ogni particella e l’avrebbe sparata alla velocità della luce verso la debole atmosfera del pianeta neonato.
Sfinito dalla carenza di aria respirabile nella navetta, che stava ormai collassando, crollò a terra.
Ce l’aveva fatta, ad ogni modo: aveva creato un paradiso per una nuova forma di vita, l’unica che avrebbe potuto, un giorno riportare l’ordine nella galassia e arginare gli spietati Invasori; ora poteva riposare in pace. Mentre il comandante moriva un pensiero gli strappò un sorriso, un ultimo attimo di felicità: forse si sarebbero ricordati, nella parte più recondita della loro coscienza, di lui, che aveva dato la vita alla loro razza, gli Umani, in quel periferico pianeta blu del Sistema Solare.

Alice Mattolini – Classe 1B Liceo Classico “Galileo” di Firenze