E se i social spiassero la nostra vita?

Dei messaggi compromettenti, delle foto inedite, delle telefonate arrischiate. O semplicemente: le foto dell’ultima cosa buffa fatta dalla figlia più piccola, i messaggi intimi e le telefonate d’amore di una coppia a distanza.

Cosa accadrebbe se da un giorno all’altro scoprissimo di essere spiati nella nostra ingenua quotidianità? E addirittura attraverso il nostro dispositivo mobile?

Ad agosto a prendere il predominio tra i social più frequentati c’era Sarahah, servizio di messaggistica istantanea anonima, criticata per l’importanza mediatica tra i più giovani, giudicata pericolosa e in grado di invogliare ad atti di cyberbullismo.
Sarahah, il quale nome arabo vuol dire “onestà“, nasce però con l’intento di inviare in anonimato messaggi a conoscenti per discutere di qualità e difetti e allo stesso per ricevere critiche costruttive e consigli utili.

Di onesto l’app ha poco, infatti ad aprire gli occhi alla gente dei social è stato l’ultimo  scoop pubblicato dalla rivista The Intercept, la quale scrive che l’app invia ai propri server i contatti in rubrica dei dispositivi su cui è installata, minacciando così l’azienda di violare uno dei punti della Dichiarazione dei Diritti di Internet: privacy e tutela dei dati personali.
Per ora il creatore di Sarahah, Zain al-Abidin Tawfiq, si difende dicendo che il caricamento dei dati serviva solo per poter segnalare l’app ai propri amici, anche se in realtà questa funzione non è mai stata implementata.

Che questo sia ancora una volta uno stimolo alla tutela personale in internet e una luce capace di far capire agli utenti dei social quanto sia importante un uso cauto e adeguate delle reti sociali.

di Paolo Ferrara