La Medea di Ronconi al Teatro Quirino

La Medea di Ronconi al Teatro Quirino

Cinque punti di vista sulla tragedia di Medea, rivisitata in chiave Ronconi

 

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Peculiarità dello spettacolo, sin dall’esordio, è il concetto di contrapposizione: tra antico e moderno, tra uditivo e visivo. Da un lato, infatti, al centro della scena c’è il lamento della serva di Medea – uno dei più tipici elementi del teatro antico –, dall’altro l’utilizzo di due video – uno dei media che caratterizzano invece il linguaggio ‘visuale’ della contemporaneità. Un’altra importante contrapposizione è quella di ‘genere’: il personaggio di Medea viene interpretato da un uomo, Franco Branciaroli – scelta, questa, volta a  ‘rappresentare’ la mostruosità del gesto da lei compiuto: l’uccisione dei suoi figli.  Medea, dunque, viene presentata come una minaccia che solo all’ultimo si svela, agli occhi del marito e di tutte le donne del coro, che le vivono accanto ed ascoltano i suoi discorsi. La “strega” trova infatti approvazione celando fino all’ultimo il suo terribile, estremo gesto, la sua vendetta senza ritorno. Questa “seduzione” delle donne del coro risulta dunque possibile proprio attraverso la femminilità posticcia di Medea, la recita di una ‘parte’, di un ‘ruolo’ e di un ‘genere’ cui essa ha abdicato. Attraverso una sapiente modulazione della voce, Medea ripercorre i dolori provati, dall’abbandono della sua terra al tradimento dei suoi cari, fino all’ultima delusione: la scelta di Giasone di ripudiarla, l’obbligo – impostole da Creonte – di abbandonare la città. Chiede un giorno solo, Medea; un solo giorno per attuare la sua terribile vendetta. Non si ferma di fronte a nulla, Medea. Vacilla soltanto nel momento di uccidere i suoi figli; si dibatte tra mille momenti di ripensamento, la semidea e la donna, l’eroina ferita e la madre.

Un altro aspetto degno di nota è l’attualizzazione. Un primo elemento è rappresentato dai due video, con cui lo spettacolo si apre: da un lato, un’operazione chirurgica a cuore aperto, che rappresenta appunto il dolore e la vendetta che divorano gli organi interni; dall’altro, un video dedicato a paesaggi e ad elementi naturali. Acqua, terra, fuoco, elementi tutti in pugno a Zeus. Questi primi video sono importanti poiché racchiudono due temi chiave di tutta l’opera: il dolore che consuma Medea, il dolore di donna e di madre, il legame divino che la salva, alla fine della commedia, semidea e nipote del sole. I due video rappresentano dunque le caratteristiche più profonde del personaggio di Medea e del dramma che si troverà a vivere: i suoi dolori le divoreranno il cuore, arrivando fino alla carne viva. Il potere divino le permetterà di fuggire, alla fine della tragedia, sul carro del sole. C’è poi un altro video all’interno della pièce: una folla, in un giorno qualunque, in America. Come una visione corale. Come i mille io che vivono dentro Medea. Come il mondo che assiste, attonito, alla tragedia più grande di tutti, per mezzo del quale una donna distrugge per orgoglio ciò che ha di più prezioso: la sua maternità.

Carlotta Bianconi 5 I

Medea è la protagonista dell’omonima tragedia euripidea del 431 a.C. e Ronconi, nel 2017, la riporta in scena scegliendo Franco Branciaroli come suo interprete, con l’intento di mostrarne le mille sfaccettature: la semidea, la sposa tradita, la madre, la donna.

Per la definizione di questa policromia si rivela importante il rapporto tra lei e il coro, formato dalle donne di Corinto; nel corso di tutta la tragedia le donne si dimostrano solidali con Medea, ma si scoprono ben presto più ingenue di lei, restando incredule rispetto all’atrocità della sua decisione.

Ronconi, facendo parlare le donne attraverso un incastro di parola e musica, attraverso i loro pensieri comuni costruisce un’entità unica di Donna – entità a cui Medea, a poco a poco, finisce per non appartenere. Se le donne confortano il suo pianto ed approvano il suo dolore per il tradimento, si discostano inorridite di fronte all’abominio di uccidere i figli. Nella scena conclusiva, Medea viene presentata più in alto, come a tendere verso il cielo, con accanto i figli da lei uccisi e con una maschera, che da un lato le nasconde il viso (e in primo luogo gli occhi), dall’altra le conferisce quasi le sembianze di una dea. In Medea, dunque, convivono e si scontrano due nature: una umana, che prova amore verso i suoi figli, l’altra divina, cosciente di ciò che fa, ferma nell’orgoglio e nella durezza di una decisione che ferisce in primo luogo lei stessa. L’uccisione dei figli, dunque, rappresenta l’estrema decisione, l’ultimo ed irrimediabile sacrificio per i tradimenti passati commessi contro la sua Famiglia e la sua Patria, per amore del padre dei suoi figli.

Alla fine della tragedia, dunque, con i piedi immersi nella vasca in cui ha ucciso i suoi figli, a Medea non resta nulla della madre: è una donna ferita che porta fino all’ultimo la sua vendetta, è un dio che, in tutta la sua forza distruttrice, si abbatte su ciò che da sempre è intoccabile: i propri figli.

Manuel dell’Orefice – 5 I

Una panoramica dello spettacolo in due focus. Per prima cosa, la scelta del ‘genere’ del protagonista: nella pièce il personaggio di Medea viene interpretato da un uomo. Se da un lato questa scelta può essere interpretata come un richiamo al teatro antico, in cui gli uomini interpretavano anche le parti femminili, d’altro canto (e da un punto di vista prettamente drammaturgico), rappresenta l’atto ‘innaturale’ di Medea. Uccidendo i propri figli solamente al fine di vendicarsi del tradimento di suo marito, Medea si macchia del crimine contro natura per antonomasia; la scelta di un uomo, dunque, porterebbe sulla scena il dilemma interiore della scelta di Medea, che la snatura nel suo ruolo di donna e di madre. È l’idea della donna ad essere al centro: discussa da Medea – per mezzo delle sue parole e, più a fondo, della scelta stessa di un personaggio maschile – e dal coro delle donne, che insieme a lei spesso discutono, in un incessante dialogo in cui testo greco e ambientazione contemporanea convivono.

Lorenzo Placidi – 5 I

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In chiave Ronconi viene riproposta sul palcoscenico romano del teatro Quirino la tragedia greca di Euripide, “Medea”, secondo una scelta drammaturgica che vede la maga interpretata dall’attore Franco Branciaroli – il quale è riuscito ancora oggi, nel 2017, a riportare in maniera vivida alla mente (e ai sensi) del pubblico tematiche cruciali ed apparentemente lontane, quali quelle della tragedia greca, appassionando lo spettatore e tenendolo con gli occhi incollati alle tavole del palcoscenico. Nella sceneggiatura viene operata con decisione una scelta di attualizzazione, dando vita ad una suggestiva commistione di antico e moderno: lo spettacolo è ambientato nel palazzo di Creonte, dove Medea (essendo venuta a sapere della mancata fede del marito Giasone alla promessa fatta) piange il suo triste destino di donna, tradita e abbandonata, attirando a sé con una sorta di vittimismo magnetico (e particolarmente suggestivo, grazie alle sfumature vocali ed espressive dell’attore) tutte le donne del coro – a lei solidali in quanto donne, ma del tutto ignare delle trame più profonde dei piani di Medea.

Le figure più importanti a sostegno dell'”eroina” sono sicuramente la nutrice ed il coro: la prima cerca fin dalla prima scena di farsi carico dei dolori della sua padrona, portando in superficie la parte umana di Medea, il suo ruolo di madre ed il suo amore per i figli (istinto cui nessun essere umano e, in special modo, nessuna donna può sottrarsi). Il coro invece esprime la coscienza femminile nella sua voglia di libertà ed equità a confronto con il genere maschile.

Medea, in realtà, è molto più di questo: è un personaggio profondamente turbato dal suo passato e dal suo presente, è un grumo di emozioni, che non si limitano al contrasto tra coscienza materna e femminile; proprio qui risiede la bravura e la superba interpretazione di Branciaroli che ha, fin dalla prima scena, celato le reali intenzioni di Medea, facendo ruotare l’intero intreccio e svolgimento su un progressivo disvelamento di un piano diabolico, dal quale nemmeno il suo cuore di madre riuscirà a distoglierla. Questa Medea mostruosa è disposta a tutto, persino ad uccidere i suoi figli (simbolo della perdita della coscienza materna), pur di vendicare le promesse non rispettate e di non vanificare i suoi sacrifici passati; ella va dunque contro il suo stesso istinto femminile, assumendo tutte le sembianze di una mentalità maschile e compiendo l’atto contro natura per antonomasia. L’intero intreccio della storia, con tutte le emozioni che porta con sé e che lascia negli spettatori, si conclude regalando allo spettatore un forte impatto emotivo e lasciando, in filigrana, una sensazione amara (e, nello stesso tempo catartica): ogni grande menzogna, ogni grande vendetta, finalizzata a perseguire orgoglio e rancore personali ad ogni prezzo,  è un’arma a doppio taglio (in quanto Medea ora ha perso ogni cosa che le restava); ciò che davvero costruisce non è la vendetta né l’orgoglio, quanto piuttosto le piccole cose, come l’amore che tiene unita una famiglia, come il coraggio e la libertà del perdono.

Alessio Rondinara – 5 I

La tragedia – scenica e umana – della Medea di Euripide, portata in scena in chiave Ronconi, riesce a comunicare con lo spettatore, tenendolo con gli occhi fissi sugli spazi macabri che aprono la pièce. Già dalla prima scena, nella quale la serva di Medea canta un lamento straziante, che rappresenta e dà voce al dolore della sua padrona, si può notare il forte impatto emotivo della piéce, in cui piano uditivo e piano visivo si intrecciano. Da un lato il lamento della serva, dall’altro due schemi collocati sul fondo del palcoscenico, creano uno sfondo sonoro e visivo: più nel dettaglio il primo schermo rappresenta una tempesta, che progressivamente si amplia di dimensione e intensità, il secondo, proietta le crude immagini di un’operazione al cuore, in cui la carne viene cucita e il battito cardiaco, veloce e pesante, crea nello spettatore uno stato d’animo di ansia e sgomento. Tutto ciò ‘rappresenta’ dunque, di fronte agli occhi (e alle orecchie) del pubblico, l’atroce supplizio, che Medea stava subendo in seguito alla scoperta del tradimento del marito.

Prima ancora che Medea appaia sulla scena, si nota sin dal primo lamento (che si ode in lontananza) un importante particolare: Medea è interpretata da un uomo. Inizialmente non si intuisce il motivo di questa scelta, ma nelle scene seguenti si incontrano altre donne, che tramite la funzione del coro esprimono tutte il medesimo pensiero confortando e spalleggiando Medea; la protagonista riesce così a non rimanere sola, potendo contare su alcune persone in sua difesa. Medea differisce dalle donne del coro, sia per il modo in cui riesce a piegare le loro menti, ergendosi più in alto per astuzia e intelligenza, sia per l’atrocità di cui si rivela capace nel finale – e rispetto alla quale tutte le altre donne, non a caso, cercano di fermarla: l’uccisione dei suoi figli. Questo atto di vendetta colora Medea di innaturalezza; dimostra caparbietà e forza, e lì dove tutte le altre donne avevano fatto un passo indietro rispetto alla malvagità di Medea, lei emerge come ‘eroina’.  La mentalità ‘contronatura’ di Medea dunque, nella piéce, è stata ulteriormente distinta da quella delle altre donne attraverso un corpo, una voce e una fisionomia maschile.

Un altro particolare degno di nota è l’efficacia emotiva dell’attualizzazione: gli abiti, i comportamenti e i canti delle donne del coro, l’aspetto dei sicari del Re, il vestiario della quasi totalità dei personaggi, ricordano infatti usi e costumi della cultura moderna, creando così un’atmosfera straniante, in cui una traduzione fedele del testo euripideo si cala in un contesto contemporaneo. Inoltre durante il monologo in cui Medea ‘orchestra’ la sua vendetta, come una vera e propria regista sulla scena, sugli schermi del palcoscenico scorrono le immagini di una folla indistinta: persone che vanno a lavoro, escono dalla metropolitana e compiono atti di vita quotidiana nell’America degli anni ’50. Tante persone, come le mille persone che si agitano nel cuore di Medea. Tante persone che camminano e attendono: verso un’attesa e una meta che, per Medea, porteranno verso la tragedia più atroce. Da questa commistione emerge dunque la vicinanza e l’attualità di un argomento trattato da Euripide nel 431 a.C., per farci capire che, a circa 2500 anni di distanza, il classico è ancora attuale. E con esso la scelta più dolorosa di tutti. E il cuore dell’uomo, che fino all’ultimo giorno può dirsi fortunato, ma mai felice.

Daniel Salzarulo 5 I

Liceo Scientifico Statale ‘A. Labriola’