Per me, il 2017 è l’anno dello Ius soli

Di Alessia Bulzomì

Cosa ci ha lasciato il 2017? E’ difficile fare un bilancio che ci possa condurre alla definizione di quest’anno come positivo o negativo. I problemi del mondo economico e lavorativo, le stragi dell’Isis, le incertezze politiche, lo rendono piuttosto simile a quelli che lo hanno preceduto. Una novità però è rintracciabile. La si trova nello sforzo che il nostro paese sta facendo nel campo dei diritti civili. Parlo in particolare dell’iter legislativo avviato sui temi dello Ius soli, del diritto cioè alla cittadinanza che deriva ad una persona per il fatto che risieda da lungo tempo in un territorio, benché diverso dal suo luogo di origine. In Italia si parla soprattutto di Ius culturae, perché si chiede che il cittadino, per essere tale, debba innanzitutto conoscere la cultura e la lingua del paese cui chiede di appartenere. Ecco allora che non si può non pensare al significato della parola appartenenza. Dice il grande Giorgio Gaber: “L’appartenenza non è lo sforzo di un civile stare insieme. Non è il conforto di un normale voler bene. L’appartenenza è avere gli altri dentro di sé.”

Il 2017 è un anno in cui le discussioni relative allo Ius soli, sono divampate numerose, con grande conflittualità, a volte persino con violenza verbale. Esso è un’espressione giuridica che formula un concetto fortemente connesso al senso di appartenenza. Una legge che mette in risalto il singolo individuo, indipendentemente dal contesto familiare in cui si trova, offrendo a dei giovani l’opportunità di scegliere, senza dover necessariamente adeguarsi alla vita e alle scelte dei genitori.

E’ complesso immedesimarsi nella situazione di ragazzi appena diciottenni che devono prendere una tra le decisioni più importanti della loro vita: seguire le orme dei genitori stranieri o cambiare radicalmente il proprio percorso, scegliendo di vivere per sé stessi, senza subire condizionamenti da enti esterni, per intraprendere il cammino formativo desiderato.

E’ realmente possibile scegliere tra due culture? Scegliere il posto a cui sentirsi appartenenti? O dovrebbe essere un avvenimento naturale che esclude ogni tipo di scelta?  Appartenere ad un territorio vuol dire amare coloro che lo costituiscono, condividendone ideali, costumi, usi, educazione, cultura. Com’ è possibile scegliere tra due culture a cui inevitabilmente ci si sente legati? Si possono mettere a confronto i principi, i valori le tradizioni e la cultura che i genitori trasmettono con quelli che caratterizzano il territorio in cui si è nati e che inevitabilmente si apprendono? Si possono seguire ed amare contemporaneamente due culture differenti? “Mi definirei un Afro-italiana, un’appartenenza non esclude l’altra” sostiene Paola Egonu, pallavolista italiana nata da genitori nigeriani, esempio vivente che la scelta non è semplice, ma l’amore ed il senso di appartenenza non hanno limiti e molteplici possono essere i modelli formativi da seguire.

Non vi è pero il rischio che una cultura prevarichi sull’altra? Non vi è il pericolo di perdere una propria identità, il proprio, vero, senso di appartenenza? La combinazione di più culture e la possibile prevaricazione di una sull’altra è la più grande paura degli italiani che spesso protestano affinchè lo Ius soli non venga approvato. Mettere a rischio la propria identità nazionale, contaminandola con l’influenza, talvolta negativa, di più culture è ciò che rende gli italiani restii nei confronti di tale legge. Il 2017 è stato un anno difficile, durante il quale gli italiani hanno realmente appreso il significato del termine “paura” a causa dei tragici avvenimenti provocati da stranieri, possedenti una cultura ed una mentalità completamente differente rispetto la loro. Lo Ius soli rappresenta per molti, la possibilità che gli italiani stessi offrirebbero a degli stranieri, di attaccare violentemente l’Italia sotto ogni punto di vista, influenzandone persino gli aspetti culturali.

Spesso però, non si riflette sul fatto che lo Ius soli verrebbe applicato su bambini nati in Italia, che fin dall’infanzia frequentano scuole, persone, centri pubblici italiani, pertanto, si sentirebbero comunque appartenenti a tale territorio e non bisognerebbe escludere a priori l’idea che questi bambini, raggiunta la maggiore età, scelgano di diventare italiani a tutti gli effetti.

E’ Fondamentale comprendere il significato del “senso di appartenenza”, esso è presente nel cuore di ognuno e non esiste alcuna influenza da parte di fattori esterni che possa cambiarlo, perché se è reale, forte, rimane e rimarrà invariato. Il giudizio delle persone passa inevitabilmente in secondo piano, in quanto si basa solo ed esclusivamente sull’apparenza. Sono i caratteri somatici che una persona possiede a renderla appartenente ad un determinato luogo? L’aspetto esteriore assume un’importanza nettamente inferiore rispetto il sentimento di appartenenza, ed è esattamente per questo che non bisognerebbe mai esprimere giudizi affrettati o basati solo su ciò che si percepisce a primo impatto.

Gli italiani hanno senza alcun dubbio analizzato i motivi per cui dei bambini nati da genitori stranieri non debbano ricevere la cittadinanza italiana, tuttavia non ponendo la giusta attenzione sui vantaggi che lo Ius soli offrirebbe. L’Italia subisce da parecchi anni a questa parte un continuo calo demografico; un calo del numero degli studenti presenti all’interno delle scuole; un aumento del tasso di emigrazione e la conseguente perdita di giovani talentuosi, dotati di grandi potenzialità. In un contesto così difficile, offrire la cittadinanza a bambini nati e cresciuti in Italia, seppur da genitori stranieri, potrebbe essere un vantaggio in quanto sarebbe elevata la percentuale che tra quei bambini ci siano delle menti brillanti in grado di contribuire al progresso dell’Italia.  I bambini in questione colmerebbero il calo di natalità, il calo degli studenti, la mancanza di centri in grado di offrire lavoro e molti altri sarebbero i benefici conseguenti all’approvazione di tale legge. Di fondamentale importanza, dovrebbe essere il curare nei minimi dettagli e controllare assiduamente che lo Ius soli venga applicato nel modo corretto, per evitare che la paura degli italiani diventi realtà. Bisogna però abbattere le paure, trasformandole in scelte coraggiose, mirate al progresso del proprio Paese. Prescindendo dallo Ius soli, sarebbe opportuno che gli italiani smettano di sentirsi unicamente cittadini italiani, ma inizino a possedere un’ottica più vasta che li condurrebbe verso una visione aperta e cosmopolita, che contrariamente a quanto si possa pensare, non rinnega assolutamente il proprio senso di appartenenza.