Qualcosa di così speciale…

Il rapporto tra fratelli è un’isola di stabilità nel fiume della vita. Certo, averli può essere un rischio da tanti punti di vista, tuttavia non averli è una vera e propria amputazione all’origine.

Il legame tra fratelli e sorelle sembrerebbe biologicamente irrinunciabile. E’ un rapporto che inizia precocemente, ancor prima della nascita, e dura a lungo nel tempo, acquistando sempre una maggiore forza e complicità.

Nessuno meglio di un fratello, infatti, può essere complice, amico o consolatore nel percorso della vita. I rapporti, però, non sono tutti uguali, a volte non si somigliano neanche. Alcuni sono buoni, stretti e intimi, altri possono essere più ostili e conflittuali. Da una parte, quindi, questa relazione ci fa pensare a solidarietà, aiuto e cooperazione, dall’altra ad incomprensione e conflitto che, talvolta, può innescare rifiuto e addirittura odio.

Il primo ambito sociale in cui i figli si scontrano tra loro è la famiglia, nella quale fratelli e sorelle, come affermato da Minuchin crescono come in un sottosistema. In questo contesto i figli imparano l’uno dall’altro. La presenza di una figura che cresce al tuo fianco, sempre, che sia un fratello o una sorella, rende infatti l’intera vita differente da quella vissuta da coloro i quali vengono definiti “figli unici”, ritenuti spesso viziati, egoisti ed egocentrici.

Secondo uno studio di alcuni ricercatori cinesi della Southwest University a Chongqin, pubblicato su “Brian Imagin and Behaviar”, anche il cervello, non solo il carattere di chi non ha né fratelli né sorelle, è diverso, perché si svilupperebbe in maniera differente, con alcune aree più o meno potenziate di altre.

Sottoponendo 250 figli unici adolescenti ad alcuni test di personalità, si sono potuti studiare alcuni effetti psicologici e neurologici del non avere fratelli. E’ risultato che i figli unici sembrano eccellere nel campo della flessibilità, che è una misura della creatività, ossia di quanto una persona sia in grado di pensare in maniera indipendente, ma gli stessi risultano deboli nell’area della “piacevolezza”, che si può tradurre come l’empatia verso gli altri. Differenze confermate anche da scansioni celebrali.

Fin da quando si è piccoli, perciò, relazionarsi con un’altra figura, aiuta ad avere una differenziazione caratteriale e comportamentale tra sé e l’altro. Poi c’è un altro legame, un legame straordinario, quel legame così forte da sembrare quasi inquietante, quello dei gemelli: due vite concepite e venute al mondo nello stesso istante. E’ difficile, per chi non ha la fortuna di possedere un gemello, riuscire a comprendere questa complicità, che li estranea un po’ da tutto il resto del mondo.

Analizzando una percentuale di gemelli, si è potuto osservare che, interagendo continuamente tra loro, sviluppano il fenomeno cd. della “criptofasia”, un linguaggio segreto e incomprensibile agli occhi degli altri. Questo fenomeno si verifica, più di frequente, in quelle coppie di gemelli lasciati interagire spesso da soli. A causa del troppo attaccamento l’uno verso l’altro, infatti, gli stessi possono andare incontro ad un difficile processo di separazione che li ostacolerà nel crescere autonomamente. Per essi, infatti, il primo posto della scala affettiva è occupata dal fratello gemello mentre per gli altri figli dalla mamma e il papà, visti come figure quasi eroiche, che non sbagliano mai.

I primi contatti tra i gemelli nella pancia si avvertono a partire dalla 14° settimana. E’ in questa fase che iniziano a sviluppare i loro organi sensoriali. Infatti, si riconoscono già dalla nascita, lo dimostra il fatto che la presenza dell’uno tranquillizzi l’altro.

Alla luce di quanto sin qui esposto, sorge spontanea una domanda: come si cresce senza fratelli? Il rischio più grande dei figli unici è, da una parte, la solitudine, dall’altra sentirsi al centro del mondo. Su di loro, si riservano montagne di attenzioni, affetto ma anche tante aspettative, non sempre necessarie.

E se invece il dono più grande di tutti fosse proprio un fratello, desiderando di averlo e rinunciando magari a qualcosa?

Ludovica Pizzuti, Liceo Democrito