Racconto: La sete.

Osservavo oltre la vetrata del bar in cui mi trovavo: i palazzi immacolati e perfetti delimitavano il mio campo visivo, ma in realtà occultavano una realtà che era ben diversa.                                                           Una cameriera mi porse una tazzina, riempiendomela con quel liquido afrodisiaco.

“Giornata storta, eh?” mi disse. “Giornata storta.” Risposi.

L’odore amaro di quella bevanda esasperava le mie emozioni, e le rendeva percettibili.

Tornai alla vita oltre le pareti del bar, auto sfrecciavano a tutta velocità in pieno giorno per inseguire chissà cosa, la felicità, forse. Un senzatetto con una tazzina in mano implorava aiuto.

Lacrime agli occhi con le quali riempiva la sua tazza sporca ed usurata.  Pagai il conto, uscii dal locale, mi avvicinai al poveretto e, con gioia, versai un po’ del contenuto della mia tazzina nella sua.”Giornata storta?” Chiese lui, ringraziandomi come se fossi stato l’unico ad averlo aiutato nella sua intera vita. “Una giornataccia.” Risposi.

Come forse ho già detto quella bevanda aveva strani effetti, poiché il suo sapore, il suo odore, il suo aspetto variavano a seconda dell’umore di chi la beveva. Passeggiando per le vie di quella inquinata metropoli vidi molti pendolari, i quali correvano, lasciando cadere dalla loro tazza gocce di puro stress, mentre un’espressione stanca incorniciava il loro viso. Inseguivano il treno come fosse il loro sogno, o forse stavano solo scappando dalla veloce furia con cui va avanti la vita.

Le abitazioni erano ancora stupendamente perfette. Le persone che vi abitavano, invece, le donavano i più inusuali odori, ed io, mentre cercavo di dimenticare quella brutta giornata, incontrai un gruppo di ragazzi.

Bevanda frizzantina, non c’è che dire. Nel cercare di scrutarli meglio feci cadere in un tombino delle preziose gocce, frutto del lavoro di mesi. Disperatamente cercai di bagnarmici le dita, ma erano già cadute. Osservavo il tombino con gli occhi persi nel vuoto, e già sentivo il cielo crollarmi sulla testa. Ebbene sì, proprio il cielo.

Tombini, fogne, mio nonno mi raccontava, molto tempo fa, di come quando lui era giovane lì i liquidi scorrevano incessantemente. Pura pazzia, a parer mio, o forse era abbastanza saggio da capire che avere dei sogni utopici nella vita non è completamente sbagliato.

Per le strade oramai l’odore pungente e malinconico era l’ordinario. Tutti erano alla ricerca di un qualcosa che potesse placare la loro sete:

Sete di potere, sete di denaro. Tutti avevano costantemente sete.

E causavan la guerra, piangevano ma le loro lacrime non erano abbastanza per dissetarli, il loro gusto preferito era la disperazione, che era oramai il sapore di ogni bevanda.

Ma c’era un momento in cui la guerra finiva. In cui si piangeva, ma di gioia. In cui si sorrideva. Il momento in cui una brutta giornata diventava fantastica. Ero ancora inginocchiato sul tombino, in quell’istante. Quando mi cadde una goccia sul naso. Poi una accanto agli occhi, che mi scivolò sulle guance. Il suo dolce sapore mi sconvolse. Il momento in cui la felicità non era più impossibile era arrivato. Nonostante tutto, il cielo crollò davvero sulle mie deboli spalle.

Pioveva.