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Giochi olimpici invernali: semplicemente sotto un’unica bandiera?

Circa una settimana fa è ufficialmente iniziata la 23esima edizione dei Giochi Olimpici Invernali, in Corea del Sud. Già alcuni mesi prima si erano palesate alcune difficoltà, dettate da “sgambetti” mediatici che hanno messo in difficoltà gli scambi di dialogo. Non un semplice muro, non un semplice parallelo (il 38esimo) quello che divide due stati, guidati da regimi politici diversi sin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Anche questa occasione, iniziata con una certa ventata di ottimismo, sembrava destinata ad un’ennesima cesura tra i due governi, dopo l’annullamento di un meeting pre-olimpiadi. Poi la presentazione il 9 febbraio. Inattesa. Una bandiera a sfondo bianco, simbolo di pace, con un’icona che stravolge pensieri, ideologie, storia e geografia di un territorio sempre conteso e tormentato: la penisola coreana tutta unita, in tinta blu.

Quale la reazione della sponda nord coreana?

Apparentemente la scelta è stata ben accolta. Al passaggio degli atleti delle due nazioni olimpionicamente unite, lo stadio è scoppiato in un tripudio di urla gioiose. Simbolicamente più importante però, il fatto che la sorella minore di Kim Jong-un, Kim Yo-jong, si è alzata ad applaudire gli sportivi in sfilata. E qui, nonostante il gelo atmosferico presente, è ugualmente avvenuto il disgelo. Almeno formalmente, perché dal dopo guerra non si erano mai avute strette di mano tra i rappresentanti dei due governi.

Una grande vittoria diplomatica?

La squadra coreana, che raccoglie atleti di entrambi i paesi, non sarà sicuramente la favorita nei risultati esclusivamente sportivi, ma ha condotto ad un fondamentale risultato diplomatico. Non è certo stato facile e a mettere i bastoni tra le ruote sono gli ultimi smacchi dati dal vicepresidente statunitense Pence, e le futili polemiche giapponesi per la raffigurazione, sempre nella bandiera, di un’isola contesa proprio alla Corea del Sud. In particolare dagli Usa salta fuori la tensione creata dagli interessi nucleari. Il vicepresidente del governo Trump non solo rifiuta una cena, porgendo velocemente i saluti solo ad alcuni membri di altri stati, ma sulle tribune di Pyeongchang ignora totalmente la sorella del dittatore nordcoreano.

C’è quindi speranza per un futuro diverso tra le due Coree?

Tutto passa, purtroppo, dall’alleanza Seoul-Washington, dal benestare di Trump, da eventuali future provocazioni. Intanto, un invito ufficiale per il presidente Moon a recarsi a Pyongyang c’è. La voglia di dialogo pure. E non poteva esserci modo migliore per tentare di cambiare una storia, fino a qualche mese fa destinata a rimanere sempre tale, tra esibizioni nucleari e la paura mondiale per lo scoppio imminente di una guerra.