L’isola dei misteri

Quella che abbiamo deciso di raccontarvi oggi è una storia assai particolare, relativa ad un angolo remoto del nostro pianeta, l’Isola di Pasqua. Situata nel Pacifico sudorientale e territorialmente appartenente al Cile, essa dista ben 3200 km dal Sud America e 2250 Km da Pitcairn, la più vicina isola abitata. Gli alisei vi soffiano impetuosi, le piogge sono abbondanti, il clima è fresco, ma…non c’è traccia di vegetazione ad alto fusto.

L’esploratore danese Jakob Roggeveen, che la scoprì nel giorno di Pasqua del 1722 (circostanza alla quale l’isola deve la sua denominazione), così la descrisse: “Dapprima, da lontano, pensammo che l’Isola di Pasqua fosse sabbiosa; scambiammo per sabbia l’erba secca, la paglia e quanto rimaneva di altra vegetazione inaridita e bruciata, perché la sua apparenza desertica non ci diede altra impressione che quella di una eccezionale povertà e sterilità”.

Ecco uno dei tanti misteri che riguardano Pasqua, unitamente alle grandi statue in pietra a forma di figura umana (i cosiddetti moai) e alle tante tavolette in essa ritrovate, con iscrizioni ancora da decifrare: è un’isola senza un singolo albero o arbusto alto più di tre metri. La perdita di alberi è stata da alcuni studiosi spiegata in questo modo: responsabili sarebbero stati i ratti del tipo polinesiano che raggiunsero l’isola al seguito dei primi colonizzatori. Per via della mancanza in quei luoghi di predatori naturali, i ratti ebbero la possibilità di moltiplicarsi indisturbati, cibandosi soprattutto dei semi di palma e contribuendo in maniera decisiva all’estinzione degli alberi.

Ma c’è un’altra possibilità. Alcune significative scoperte archeologiche indicano che, almeno fino ai primi anni della colonizzazione polinesiana, l’Isola di Pasqua era ricca di alberi e arbusti legnosi, cespugli, piante erbacee, felci. L’albero più diffuso nella foresta era una varietà di palma assai simile a quella ancora oggi esistente sulle coste del Cile, alta fino a 30 metri e priva di rami: l’ideale per costruire grandi canoe e anche una straordinaria fonte di cibo. Ecco, a noi piace pensare che, per trasportare verso le coste i 638 moai che sono stati rinvenuti, gli indigeni abbiano usato i tronchi degli alberi, poco per volta abbattendoli tutti, fino a determinarne la scomparsa.

 Dalla redazione dell’I.C. “G. Garibaldi – Giovanni Paolo II” di Salemi-Gibellina

Emily Tilotta e Giuliana Tricomi – Classe 1a A Salemi

Elena Catania – Classe 1aC Salemi