È cambiato qualcosa dopo #metoo?

A cinque mesi dallo scoppio delle denunce negli Stati Uniti, denominato “caso Weinstein”, in Italia sembra non essere cambiato nulla.

Purtroppo è da escludere la possibilità che il nostro paese sia lontano da questi problemi, dato che in Italia muore una donna ogni tre giorni per mano di un uomo che diceva di amarla. Alla luce, dunque, di questo dato agghiacciante perché non si ha assistito ad una rivoluzione simile a quella che ha reso possibile il movimento “Time’s up”? La colpa non è da imputare alle vittime che non hanno denunciato, ma all’ostilità dimostrata verso coloro che sono riuscite a parlare, alla definizione dei ruoli maschili e femminili nella nostra società e, in ultima analisi, all’inefficacia delle leggi attuali.

Il 10 ottobre viene pubblicata una lista di vittime del famoso produttore americano, in seguito a questo fatto si scatena una bufera e finalmente molte personalità del mondo dello spettacolo, non sentendosi più sole, decidono di parlare delle proprie storie innescando un processo mai visto prima. Tra le autrici di questo gesto si trova Asia Argento, famosa attrice italiana, ringraziata all’estero per il suo coraggio e condannata aspramente nel nostro paese. Come può una vittima riuscire a denunciare un fatto così grave vedendo che i propri concittadini giustificano uno stupro criticando la condotta “dissoluta” di una ragazza?

E poi si passa ai gender roles, ovvero i ruoli ai quali le persone si aspettano che uomini e donne si attengano, che in Italia sembrano aver raggiunto un punto di stallo. È interminabile la lista di regole a cui le ragazze devono sottostare e sono altrettanto innumerevoli i commenti e le giustificazioni che si trovano per coloro che perpetuano molestie e abusi. È stata stuprata una ragazza… Ma cosa indossava? Perché si trovava in quel posto a quell’ora? Aveva bevuto? Tutte domande che si riassumono con “la colpa è della ragazza perché sì”.

Si riscontrano problemi anche nell’arrivo tardivo di numerose leggi volte a proteggere principalmente le donne. Ad esempio, il reato di stalking è stato introdotto in Italia solo nel 2009, mentre prima gli atti persecutori venivano giudicati singolarmente e spesso non potevano essere puniti nemmeno come reati minori. E, secondo i dati Istat, “si stima che il 21,5% delle donne fra i 16 e i 70 anni (pari a 2 milioni 151 mila) abbia subito comportamenti persecutori da parte di un ex partner nell’arco della propria vita” a cui si somma lo stalking perpetrato da estranei e conoscenti, pari al 10,3%, “per un totale di circa 3 milioni 466 mila” vittime. Per non parlare dei provvedimenti per far fronte ai delitti di genere: infatti negli ultimi quattro anni non si sono registrati cali significativi nel numero di femminicidi: 152 nel 2014, 141 nel 2015, 145 nel 2016 e 114 nei primi dieci mesi del 2017. Tornando dunque al tema degli abusi sessuali, si aggiunge un altro fattore sconcertante: il tempo lasciato a una vittima per denunciare una violenza, ovvero sei mesi. Emblematica la notizia di una dottoressa della guardia medica, il cui caso non sarebbe stato procedibile poiché la donna avrebbe sporto querela tre mesi dopo la scadenza. A tutto questo va a sommarsi, inoltre, il fatto che l’insegnamento di educazione sessuale sia lasciato alla discrezione delle scuole.  L’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha stilato nel 2010 delle linee guida per un’informazione di qualità con l’obiettivo di ridurre problemi come “l’aumento delle gravidanze fra gli adolescenti, l’aumento di infezioni sessualmente trasmissibili e le violenze sessuali”, ma in Italia le numerose proposte di legge non riescono ad essere approvate.

Perlomeno possiamo consolarci sapendo che è aumentata la consapevolezza generale e sperando che altre persone si uniscano al coro di coloro che si battono per i diritti umani.

 

Di Noemi Braghieri

No-shame Fist
Fonte immagine: nonunadimeno.wordpress.com