E se restassi a casa?

Concentriamoci sul concetto di democrazia, ovvero quella forma di governo in cui il potere viene affidato al popolo, garantendo a quest’ultimo la totale libertà. E concentriamoci ancora sul concetto di libertà in sé, un valore inestimabile, da custodire gelosamente, che, nella sua apparente banalità, ci concede la possibilità di essere noi stessi, di dire quello che pensiamo, di battagliare per i nostri ideali. Quel valore che ci libera dal senso di asfissia, soffocamento, vincolo. Pensiamo adesso, invece, ad una realtà utopica, ad un Paese in cui i cittadini diventano presenze passive, privati della possibilità di esprimere il proprio pensiero o creare cambiamento. Un’utopia, d’altro canto, non così irrealizzabile che, in passato, è stata realtà; utopia combattuta e superata per certi versi ma che facilmente si può ripresentare, che sfrutta condizioni di indifferenza per emergere. Utopia di una società parassita che potrebbe e dovrebbe spaventarci.                                                                                                                       In realtà, però, oggigiorno, diventa più facile parlare di utopia riguardo la condizione del cittadino attivo che si mostra interessato alle condizioni in cui riversa la società, che di una realtà privata della libertà di andare controcorrente. In effetti, specie negli ultimi tempi, si è assistito ad un parziale ma importante sintomo di indifferenza tra i civili italiani, che si manifesta in maniera più rilevante in clima di elezioni, quando invece, la singola opinione, diventa matrice fondamentale per cambiare, o almeno tenar di farlo, le sorti dello Stato e/o per migliorare quegli aspetti della società che non vengono graditi, dando voce al proprio pensiero tramite il voto. Nella maggior parte dei casi, tale indifferenza è scandita da una riflessione che porta l’individuo a pensare che un voto in più, non faccia la differenza.  Reazione tipica di quegli italiani, spesso giovani, che alzano una barriera invisibile tra il mondo politico e loro stessi, considerandolo un qualcosa di lontano, noioso, inutile, che non gli appartiene, ma che tale non è in quanto politica, voto e scelta diventano determinanti per il futuro del ragazzo stesso e del suo vivere in società. Altri invece, rifiutano la scelta dell’andare a votare perché portatori di sfiducia generale nei confronti dei rappresentanti in candidatura; sfiducia in quei volti, sfiducia in quei programmi apparentemente perfetti, ma che nascondono spesso una fitta rete di interessi personali, che poco preservano o si curano del cittadino. D’altra parte, se si vuole far in modo che questo circolo vizioso venga interrotto, se si desidera un Paese giusto che tuteli nel vero senso della parola i suoi cittadini, che non imponga leggi assurde, che non li privi dei loro diritti, che non trasformi la democrazia in oligarchia, bisogna votare. Dunque, a tutti gli italiani che il 4 Marzo hanno deciso di astenersi, prego di lasciare le loro case e perdere qualche momento del loro tempo, per marchiare con una x il foglio elettorale, creando almeno la possibilità di portare cambiamento, facendo sì che, anche noi figli, noi “generazioni future”, possiamo godere di uno Stato libero e giusto, uno Stato democratico, ricordando che, le scelte di oggi sono determinanti per il nostro futuro.

Chiara Licordari