Legge sul biotestamento, è giustizia?

Tra i più discussi problemi degli ultimi anni, soprattutto in Italia, vi è il trattamento di pazienti in situazioni “critiche”. L’uso delle virgolette è d’obbligo dato che ogni caso avvenuto al riguardo è relativo e diverso dagli altri; in questo caso non si tratta di comuni e medicamente trattabili tumori, ma di situazioni in cui un individuo una parte di sé fondamentale per la propria vita e felicità. Analizzando numerosi casi, direi di soffermarci innanzitutto su quello di Fabiano Antoniani A.K.A. Dj Fabo; il disc jockey è rimasto vittima di un incidente la notte del 13 giugno 2014 quando, di ritorno da un locale vicino Milano, per chinarsi a raccogliere il cellulare che gli era sfuggito di mano sbandò e la sua vettura impattò contro un’altra che procedeva sulla corsia d’emergenza; sbalzato fuori dall’abitacolo ebbe inizio il suo calvario. Da quel momento perse vista e capacità motorie: era ridotto ad un vegetale. Dopo circa due anni di lotte, riuscì a raggiungere la Svizzera per subire l’intervento che gli avrebbe tolto la vita. Come ci insegna Dragonball, DJ Fabo non è più tra noi poiché “il suo desiderio è stato esaudito”. La sua scelta è stata dettata probabilmente da quello che era il suo stile di vita, in quanto l’incidente gli ha impedito di proseguire quella strada adrenalinica e festaiola che Antoniani tanto amava. Prima delle conclusioni, analizzerei anche il caso di Eluana Englaro, una donna italiana che, a seguito di un incidente stradale, ha vissuto in stato vegetativo per 17 anni, fino alla morte per disidratazione sopraggiunta a seguito dell’interruzione della nutrizione artificiale. Purtroppo è stato un caso complesso e lungo alla risoluzione del quale, secondo la cronaca, hanno contribuito in maniera decisiva reali testimonianze rilasciate da alcune sue care amiche. Queste hanno affermato che la giovane di Lecco aveva espressamente affermato che in una situazione simile, se non analoga, a quella che stava vivendo avrebbe preferito non subire alcun tipo di accanimento terapeutico. Queste testimonianze sono state reputate vere, ma immaginate cosa succederebbe se, su una persona ridotta alla perdita totale della coscienza e della volontà, venissero rilasciate testimonianze false; quant’è semplice che una cosa del genere accada, in primis in un paese con una mentalità come la nostra? Di certo, la complessità del tema esigerebbe posizioni non estreme e rispettose delle idee, della sensibilità e delle diverse culture. Non bisognerebbe pensare al biotestamento e all’eutanasia come una “legalizzazione del suicidio”, bensì come una forma di rispetto delle volontà dell’individuo il quale, esattamente come potrebbe uscire fuori dal coma, potrebbe anche non farlo. Purtroppo la scienza non conosce al 100% il sistema neurologico e di conseguenza, in caso di assenza di volontà, la cosa più giusta da fare sarebbe fare ricadere la scelta sulla volontà del paziente stesso espressa antecedentemente allo stato vegetativo in cui si trova.

Nei casi come Fabo posso affermare che è scontato che il paziente abbia il diritto di scegliere cosa farne di se stesso, ma ogni caso è differente; in Francia, ad esempio, una donna paralizzata dopo un incidente è riuscita a scrivere un libro nelle poche settimane di vita rimaste, con il solo utilizzo della palpebra sinistra. Invece, nel caso del Dj è perfettamente comprensibile che, sentendosi privato di ciò che amava, dopo circa due anni ha fatto una scelta e nessuno dovrebbe avere il potere di impedire ciò, poiché il “coraggio” e la capacità di lottare si esauriscono e non si possono assumere. In conclusione, per far avvalere la mia tesi, cito testualmente la Convenzione sui Diritti Umani e la Biomedicina di Oviedo del 1997 che stabilisce che «i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione». Cito anche il Comitato Nazionale di Bioetica, che si è espresso nel dicembre 2003 con un documento, di 19 pagine “[…] diritto che si vuol riconoscere al paziente di orientare i trattamenti a cui potrebbe essere sottoposto, ove divenuto incapace di intendere e di volere, non è un diritto all’eutanasia, né un diritto soggettivo a morire che il paziente possa far valere nel rapporto col medico […] ma esclusivamente il diritto di richiedere ai medici la sospensione o la non attivazione di pratiche terapeutiche anche nei casi più estremi e tragici di sostegno vitale, pratiche che il paziente avrebbe il pieno diritto morale e giuridico di rifiutare, ove capace.”.

 

Samuele Neri