Intervista una prof, Maria Franco.

Abbiamo deciso di intervistare Maria Franco, una professoressa la cui storia ci ha interessate molto che ha insegnato all’istituto penale di Nisida e negli ospedali. Ha vinto l’Italian Teacher Prize.

 

-Cosa l’ha spinta a fare questo lavoro?

 

Da ragazza non pensavo che avrei fatto l’insegnante. Il mio sogno sarebbe stato diventare giornalista oppure fare ricerca storica. Sono state le circostanze e le esigenze familiari a farmi fare i concorsi a scuola e, quindi, ad iniziare l’attività come docente. Come insegnante, ho realizzato anche le mie passioni giovanili, in particolare ho fin dall’inizio inaugurato, a Nisida, un Laboratorio di Scrittura che ci ha consentito di pubblicare il giornalino Nisida News, testi di poesia, testi teatrali, e, negli ultimi anni, otto volumi di racconti.

 

 

-Che studi ha fatto?

 

Prima il Liceo classico (ho amato molto le discipline classiche, il greco in particolare), poi la laurea in Filosofia con una tesi in Storia Moderna sul Movimento qualunquista. Mi sono perfezionata, alla Sapienza, in Storia Moderna con una tesi sulle Doti nuziali a Napoli nel ‘700

 

 

Si ricorda il suo primo giorno a Nisida? Non era intimorita? Non aveva paura che le storie personali fossero troppo forti da sostenere?

 

Intimorita no, emozionata sì e molto. Sono entrata a Nisida pronta ad ascoltare, desiderosa di imparare come relazionarmi con i ragazzi ristretti e anche contenta di poter condividere con loro un po’ di quello che avevo appreso con gli studi e, più in generale, negli anni della mia vita.

 

 

-Perché ha deciso di insegnare nell’istituto penale di Nisida? Non sarebbe stato più facile lavorare con ragazzi meno difficili?

 

Quando ho vinto il concorso, avrei, in effetti, potuto scegliere alcune scuole “più facili”. Ma ho sempre avuto una particolare passione per le problematiche sociali: ho scelto Nisida per questo e ho confermato questa scelta negli anni, anche quando mi si è presentata la possibilità di insegnare in una scuola superiore.

 

 

-Chi sono i suoi alunni? Ce li può descrivere?

 

I miei alunni sono ragazze e ragazzi tra i 14 e i 25 anni, che hanno commesso reati spesso molto gravi e che, per questo, passano qualche tempo (che può andare da pochi mesi a molti anni) nel carcere minorile. I ragazzi provengono in larga maggioranza da Napoli e dintorni, a differenza di altre carceri minorili italiane, dove la prevalenza è di stranieri. Le ragazze al momento sono in maggioranza italiane con alcune straniere e alcune rom. (Nisida è l’unico carcere femminile del Meridione). A parte alcune eccezioni, si tratta di ragazzi e ragazze che hanno frequentato poco e male la scuola e che non hanno sufficienti conoscenze di base. Gravi, quasi sempre, i problemi familiari che hanno vissuto.

 

 

-Come si è sentita quando ha saputo di essere tra i 5 docenti vincitori dell’Italian Teacher Prize?

 

Sono stata molto contenta per il riconoscimento dato, in generale, alla scuola in carcere e, in particolare, allo sforzo collettivo (di educatori, formatori professionali, maestri di musica e teatro, volontari ecc.) che Nisida prova a fare per dare ai ragazzi ristretti effettive possibilità di rieducazione.

 

 

-Cosa pensa degli episodi delle baby gang a Napoli? Di chi è la responsabilità?

 

Mi piacerebbe che si evitasse il termine di baby gang che rischia di dare identità a ragazzi che, non avendo validi punti di riferimento e non sentendosi sufficientemente riconosciuti nelle loro esigenze, ritengono di poterla trovare solo in gesti violenti. Le responsabilità sono molteplici: la non sufficiente attenzione che la politica ha dato alle difficili condizioni della crescita soprattutto nelle periferie; la debolezza del tessuto sociale, in cui mancano o non sono abbastanza forti punti di riferimento (dalla parrocchia al centro sportivo); una pervasiva sottocultura che non abitua al rispetto di se stessi e degli altri e ritiene importanti solo i soldi e il potere; la difficoltà della scuola nel farsi riconoscere come luogo prioritario di crescita; la scarsa capacità educativa di alcune famiglie. Per affrontare adeguatamente il problema, bisogna darsi un progetto di lunga durata (almeno qualche decennio) e di ampio respiro, che veda lavorare insieme la scuola con tutti i soggetti positivi del territorio (centri culturali, sportivi, parrocchiali).

 

 

-Cosa insegna alle ragazze di oggi? Cosa consiglia loro?

 

Provo a insegnare alla ragazze quello che provo ad insegnare ai ragazzi, ovvero che ciascuna di loro ha doti di intelligenza, sensibilità, inventiva ecc. ecc. che può positivamente investire. Che sperimentando in carcere le proprie capacità in positivo (dal saper scrivere un racconto al saper recitare al saper fare un oggetto in ceramica ecc. ecc.), può (ri)costruire una base più solida per la propria vita: in maniera che, una volta fuori da Nisida, possa vivere serenamente la propria libertà.

 

 

-Trova differenze tra le ragazze di oggi e quelle di qualche anno fa?

 

In carcere si osserva una sensibile differenza dei ragazzi rispetto a quelli presenti anni fa. Per le ragazze che provengono da luoghi e situazioni molto diverse, non è semplice trarre delle conclusioni di carattere generale.

 

 

-È più facile o più difficile essere donna oggi o qualche anno fa?

 

Mai nel corso della storia le donne hanno avuto le opportunità che hanno acquisito, in Occidente, negli ultimi decenni, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra. Oggi sembra ovvio che le donne votino, ma, in fondo, in Italia, ciò avviene da poco più di settanta anni. Così come oggi è normale è tutte le ragazze vadano a scuola, ma, già poche generazioni prima della vostra non era così. Le maggiori opportunità non rendono necessariamente la vita delle donne “più facile” (ammesso che la vita sia mai “facile”). Oggi, per esempio, non è quasi mai facile conciliare il lavoro e la maternità.

 

 

-La sua famiglia le è stata accanto durante il suo percorso?

 

Si. Nisida è diventata il mondo non solo mio, ma anche della mia famiglia.

 

 

-Cosa ne pensa di tutti gli episodi di violenza sulle donne che si stanno verificando ultimamente?

 

Penso che bisogna fare ancora un lungo cammino di carattere culturale e, in specie, di educazione ai sentimenti. Le donne, che sono anche madri, zie, sorelle ecc. ecc., devono svolgere un ruolo educativo nei confronti dei maschi di famiglia, in maniera che questi ultimi imparino, fin da piccoli, a rispettare le donne. Queste ultime devono pretendere il rispetto degli uomini non solo in famiglia ma dovunque, a partire dai luoghi di lavoro.

 

 

-Qualche ragazza, alla quale ha insegnato, si è mai trovata in una situazione simile?

 

Non intendo qui riferirmi alla violenza nel senso di femminicidi tentati o agiti, ma sono vittime di una violenza cui non si dà abbastanza attenzione le ragazzine rom. Quelle che ho conosciuto io sono state avviate fin da piccole al furto e sono state sposate giovanissime con un sistema tuttora in atto: la famiglia dello sposo le ha comprate sborsando un x di denaro alla loro famiglia d’origine.

 

 

-Ha avuto qualche disavventura o qualche episodio che le è rimasto particolarmente impresso? Può raccontarcelo?

 

Ho esperienze dolorose, per esempio di ragazzi che, usciti da Nisida, sono rientrati in carceri per maggiorenni oppure sono rimasti uccisi in conflitti a fuoco, tentate rapine o altro. Ma ho anche esperienze molto belle di ragazzi e ragazze che hanno cominciato a lavorare e si sono costruiti una famiglia serena.

 

 

-Che senso ha oggi, secondo lei, la giornata dell’8 marzo?

 

Da qualche anno, una mia amica invita a casa sua, l’otto marzo, un bel po’ di donne e offre loro un film o una piccola messa in scena teatrale che riguardi la vita delle donne. Ecco: questo riflettere insieme, in amicizia, sul senso dell’essere donne, sul suo valore, sui problemi da affrontare, mi sembra un bel modo per dare vigore ad una ricorrenza che, altrimenti, non mi dice nulla di particolare.

 

 

 

Le alunne Campochiaro Miriam, Muliere Fulvia, Pagano Ludovica e Valyukh Daniela della II C  dell’IC VOLINO CROCE ARCOLEO di Napoli