Inquīrĕre-: Scienza, riviste scientifiche e ricerca

Una volta raggiunto il termine del nostro percorso scolastico si prospetta per noi anche la fatidica decisione: “Ora che sono grande, cosa voglio fare?” Alcuni hanno già risposto a questo interrogativo da molto tempo, altri sentono di riuscire ad escludere con decisione determinate prospettive da altre, altri ancora si trovano totalmente spaesati. Fra le tante possibilità viene a costituirsi sempre meno l’eventualità della ricerca, della scienza o del sapere. Questi vengono sempre più visti come ambiti specializzati, settoriali, al di fuori delle competenze che ogni giorno ci vengono richieste e presentate; insomma fare scienza appare non solo distante ma alle volte fuori dalle nostre tempistiche e previsioni.

Ecco perché abbiamo deciso di dare visibilità a qualcuno che di ricerca e scienza ha creato una dimensione lavorativa e personale, intervistando la Dott.essa Serena Veschi, biologa specializzata in Patologia Chimica (PhD), attualmente attiva come ricercatrice nel Dipartimento di Farmacia presso l’Università degli Studi “G. D’Annunzio”, Chieti-Pescara.

La dottoressa si sta attualmente occupando di “farmaci riposizionati”, un settore di ricerca importante poiché al momento è difficile trovare nuovi agenti terapeutici che possano essere sottoposti a sperimentazione clinica secondo l’iter standard, lungo e costoso, del passaggio dal laboratorio alla pratica clinica.

 

Che tipo di studi sta portando avanti nella sua sperimentazione?  

Lo studio sui farmaci riposizionati consiste nel valutare dei farmaci, che sono già stati approvati a livello nazionale e che quindi hanno già superato tutti i trials clinici, per testarli su patologie diverse da quelle per cui sono stati approvati”. (NDR: al momento la dott.ssa Veschi sta testando in laboratorio i farmaci  Nelfinavir -utilizzato su malati di Hiv- e la nitroxolina -antibiotico utilizzato nelle infezioni urinarie- su cellule di cancro pancreatico  per  valutare la capacità dei suddetti farmaci di uccidere quelle cellule ed essere magari impiegati anche nella cura del cancro pancreatico attualmente incurabile.)

Come riesce a trovare i finanziamenti per la sua ricerca scientifica?

Generalmente vengono presentati dei progetti che si basano innanzitutto su uno studio fondato su tutti i dati che ci sono in letteratura e sull’argomento di interesse. Cerchiamo di strutturare delle serie di esperimenti che possano dare credito alle nostre intuizioni e stiliamo progetti scientifici che poi vengono proposti a livello nazionale in associazioni che possono essere sia private che pubbliche. Questi progetti  vengono valutati da delle commissioni scientifiche che a seconda dell’interesse di studio decidono se finanziare o meno questo tipo di ricerca. Le associazioni no profit che sono solitamente interessate a progetti scientifici sono ad esempio l’AIRC, Associazione Ricerca contro il Cancro, o anche il TELETHON dedito allo studio di malattie di tipo ereditario, ma anche il MIUR, Ministero della Pubblica Istruzione. Naturalmente possono esserci ditte farmaceutiche e non solo, ad esempio l’azienda FATER porta avanti un reparto di ricerca scientifica e alcune volte anche le ditte private possono decidere di finanziare determinati progetti.

Ed è proprio il riposizionamento dei farmaci che ha fatto tanto parlare i media in questi ultimi anni, al centro della controversia sui finanziamenti che vede scontrarsi ricerca, sanità e grandi case farmaceutiche. La Dott.essa purtroppo non ha potuto smentire i fatti, confermando che uno studio di questo tipo viene il più delle volte ignorato ed evitato dalle grandi ditte farmaceutiche, in quanto un farmaco riposizionato non porta pari guadagni rispetto a quanti potrebbero portarne la coesistenza di farmaci base e numerosi altri differenziati e specifici per le varie patologie. Spesso quindi la ricerca viene sostenuta maggiormente dalle associazioni no profit e dai privati.

I suoi risultati scientifici come sono stati portati all’attenzione di tutta la comunità scientifica?

Negli anni ho intrapreso a livello sperimentale lavori scientifici che hanno riguardato prettamente l’oncologia e i miei dati che quindi posso aver ottenuti per esempio sullo studio del carcinoma mammario ma anche del tumore del colon retto o degli epatoblastomi sono stati pubblicati su delle riviste scientifiche che possono essere sia a livello di interesse nazionale come anche di interesse internazionale. Io attualmente ho pubblicato circa ventidue lavori nei quali ho preso parte sia alla conduzione di esperimenti in laboratorio e quindi con cellule o tessuti ottenuti dai chirurghi, ma anche alla stesura dei lavori scientifici per presentarli a determinate riviste. All’interno delle riviste sono presenti delle commissioni di esperti che valuta il lavoro effettuato e decide se è all’altezza o meno di essere pubblicato dalla rivista scientifica alla quale fanno riferimento.”

In quale modo si può definire una scoperta interessante a livello scientifico?

Come le dicevo di solito i nostri risultati vengono pubblicati su delle riviste scientifiche. Naturalmente quelle che sono di rilevanza internazionale sono decisamente più interessanti di quelle che magari godono di una ristrettezza solo a livello nazionale. Le riviste scientifiche hanno qualitativamente dei valori diversi definiti da un determinato indice, che è l’Impact Factor, e a seconda di questo indice le riviste vengono definite in relazione alla loro qualità, eccellente nel caso, ad esempio, di Science o Nature. Riuscire a pubblicare su delle riviste così importanti è sicuramente la meta a cui noi ricercatori volgiamo lo sguardo. Naturalmente esistono riviste che magari sono meno rinomate di Nature ma che comunque presentano dei lavori molto interessanti e che poi vengono anche citati da tutta la comunità scientifica. Poichè al di là del numero delle pubblicazioni e dell’Impact Factor di queste riviste, importante è il numero di citazioni; quindi quando io venga a sapere che un mio lavoro è stato citato a livello internazionale da più colleghi, mi da credito sul fatto che comunque i risultati della mia ricerca sono stati interessanti”.

E cosa  consiglierebbe ad un giovane appassionato di scienza con il desiderio di intraprendere un lavoro volto alla ricerca scientifica?

Sicuramente per intraprendere questo lavoro bisogna essere propensi allo studio perché comunque è un ambito in continua evoluzione e quindi bisogna anche avere una mente abbastanza aperta alla novità e avere anche, alcune volte serve nel nostro campo, un po’ di intraprendenza, perché alcune idee che possono sembrare assurde a livello scientifico con i dati giusti possono essere avvalorate e magari quella che poteva sembrare un’idea poco credibile diventa un’intuizione geniale nel momento in cui si porta avanti con passione e con tanto lavoro. Sicuramente non bisogna scoraggiarsi perché lavorando in laboratorio possono verificarsi anche fallimenti, ma questo rientra nel fatto che anche sbagliando si impara e anche con risultati diversi da quelli attesi si possono fare scoperte inattese e sorprendenti. Quindi ad un giovane ricercatore dico che se porta avanti il suo studio con passione e tenacia i risultati possono essere ottenuti”.

E riguardo al dubbio di molti, se bisogni scoraggiarsi nella prospettiva di intraprendere degli studi nel  campo della ricerca in Italia rispetto che all’estero?

Purtroppo conosciamo benissimo quella che è un’usanza di questo tempo, cioè la così detta fuga dei cervelli all’estero perché è purtroppo innegabile che la ricerca scientifica innanzitutto ottiene spesso finanziamenti maggiori, ma è anche facilitata non solo dalle pubbliche imprese ma anche dai privati. Io personalmente non ho fatto esperienza all’estero e di questo mi dispiaccio, perché comunque penso che vivere un periodo in un paese diverso e lavorare a livello scientifico in un paese diverso dal nostro sicuramente possa arricchire, però sono dell’idea che i cervelli italiani debbano rimanere in Italia perché anche l’Italia ha il suo potenziale e noi  Italiani dobbiamo credere in questo e risollevare anche la ricerca scientifica rimanendo nel nostro paese d’origine.

 

…“Ora che sono grande, cosa voglio fare?”. Rispondere a questa domanda potrebbe non diventare mai facile ma converrebbe forse tenere a mente il consiglio della nostra intervistata: “sbagliando si impara”. Spesso sono proprio gli ammonimenti più semplici all’apparenza a rivelarci la via verso una decisione più saggia. Non importa quando risponderete a questa domanda o se dovrete riproporvela molteplici volte nella vita, l’importante sarà sempre rimanere fedeli a noi stessi. In bocca al lupo!

 

Di Natasha Hagos

Università “G. D’Annunzio” di Chieti e Pescara. Fonte: https://www.ilmartino.it/2017/12/universita-g-dannunzio-chieti-pescara-inaugurato-lanno-accademico/