INTERVISTA

Intervista a Pasquale Griguoli, mio nonno, in merito alle conseguenze del ventennio fascista e della seconda guerra mondiale sulla popolazione che abitava piccoli paesi del Molise.

(I: io, P: Pasquale)

I: Allora nonno, dimmi, come hai avvertito la presenza del regime da bambino?

P: Mamma mia e che brutti ricordi che mi fai tornare! Paura. Quanta paura!

I: In particolare perchè? Cosa succedeva?

P: Il regime io l’ho sentito poco, sono nato nel ’35 e ho abitato per anni a Trivento. Il paese era piccolo e isolato e non è che lì il regime si sia fatto sentire più di tanto.

I: Ma la resistenza c’é stata?

P: All’ inizio no. Se devo essere sincero noi povera gente non sapevamo bene nemmeno cosa stesse accadendo intorno a noi. La cosa importante era cercare di sopravvivere alla povertà, che poi con la guerra è aumentata ancora.

Però nell’ultimo periodo si, anche a Trivento ci furono degli episodi di resistenza. Una volta che anche noi ci siamo resi conto della situazione abbiamo cercato di farci sentire il più possibile. Non che ci fosse qualcuno ad ascoltarci però.

I: E la guerra invece?

P: Eh, quella l’ho sentita eccome. (Pausa) E che paura! Mamma mia che paura!

I: Come si è manifestata la guerra a Trivento?

P: Da noi non è arrivata subito. Ma quando è arrivata ci stavano già gli americani. Noi neanche lo sapevamo quali fossero i soldati americani e quali i soldati tedeschi. La lingua non la capivamo.

Quando arrivò la guerra sono arrivati anche i saccheggi. Ogni giorno arrivavano i plotoni, tedeschi mi pare, andavano casa per casa e prendevano quello che trovavano. Ma di tutto eh!

A noi ci rubarono la giumenta (quanto era bella quella giumenta!), i maiali e pure i prodotti di casa: il vino, l’olio.

Tutto quello che prendevano lo portavano al comando, all’ accampamento. Stava a pochi chilometri dalla masseria dove abitavamo.

I: E quando arrivavano a rubare come facevano? Erano violenti?

P: Non mi ci fa pensà! Venivano e facevano rumore, urlavano nella lingua loro e tenevano i fucili puntati. Io ero un bambino, immaginati che paura che tenevo.

I: Tra i civili a Trivento ci sono stati morti per mano dei soldati?

P:Non mi pare, morti no. Ma la cosa brutta erano i saccheggi. Là già eravamo poveri. Se a una famiglia gli togli il maiale, l’olio e il pane non gli resta più niente. E calcola che là alla masseria eravamo una famiglia numersa: nonni, zii, cugini.

I: Gli scontri li sentivate?

P:Ogni tanto facevano saltare in aria i ponti. Lo facevano i tedeschi per non far passare gli americani. Rompevano pure le strade buone, per non farli passare ma gli americani venivano preparati, avevano i mezzi e gli attrezzi e quando non trovavano la strada spianata la costruivano loro.

E poi gli spari! Quelli pure si sentivano forte e molto spesso.

I: Vi è capitato di avere qualche rapporto coi soldati?

P: Una volta era venuto un plotone vicino alla masseria. Uno dei soldati si era sentito male ed era rimasto indietro e i plotone lo ha lasciato là.

‘Sto soldato allora piano piano è arrivato alla porta di casa nostra e si è messo a gridare.

Mia madre lo ha sentito e si è spaventata. Dei soldati avevamo paura, di tutti quanti. C’avevano i fucili.

Comunque alla fine ha aperto la porta e ha visto che questo stava per terra e stava male.

Mia madre comunque era restia, per quanto ci riguardava ogni soldato morto ci faceva solo un favore.

Comunque alla fine gli ha preparato un pò di acqua calda con le zollette di zucchero e dopo un pò questo sembrava stare un pò meglio.

Mio padre non ne voleva sapere di tenerselo in casa ma alla fine vedendo che comunque si era un pò ripreso lo ha accompagnato nella stalla, lo ha fatto sdraiare e gli ha dato dei panni asciutti, quelli che teneva erano bagnati e infangati. Questo mentre si spogliava abbiamo visto che aveva un fucile sotto al giubbotto. Un fucile con una canna sola. Aveva fatto un mucchio coi panni sporchi e aveva poggiato il fucile sopra.

Noi eravamo terrorizzati, non capivamo una parola di quello che diceva. Mia madre continua a dire “Oddio e se questo mo ci spara?”.

Io lo guardavo come se si potesse alzare da un momento all’altro e farci fuori tutti quanti.

Dopo un pò il soldato si è addormentato nella stalla e noi siamo tornati a casa.

Ma che volevi dormire? Tenevamo una paura da morire. Una notte in bianco per la paura. Quel fucile me lo ricordo ancora adesso.

Comunque la mattina dopo questo soldato stava meglio. Il giorno lo passò a riposarsi.

Verso le 19:30 però sentiamo rumore e vediamo che è arrivato un plotone davanti alla masseria.

Io adesso ste cose le racconto così ma tu la paura non te la puoi nemmeno immaginare.

Tutti sti soldati entrano in casa e gridano e fanno rumore. Quando entrano nella stalla e vedono il compagno per terra tirano fuori i fucili.

Ce li puntano addosso, pure a me che ero un bambino. Lo stesso fucile che avevo visto il giorno prima. Con una canna sola.

Uno di quei mostri si mette a parlare nella lingua sua con il soldato che avevamo aiutato e dopo un pò abbassano i fucili.

Si girano e se ne vanno portandosi dietro il soldato che avevamo nella stalla.

Qualche giorno dopo però, ci hanno portato tante cose! Carne di maiale, cioccolata addirittura, caffè e pure lo zucchero a zollette.

I: Incredibile!

P: Ci stava una che abitava vicino a noi: Maria “S’lon”. Questa parlava con gli americani. Ci parlava in inglese. I soldati le chiedevano informazioni sui tedeschi e lei gli diceva tutto quello che sapeva.

Succedeva pure che nascondesse i soldati inglesi in casa. Una volta quando sono andato ho visto che ne teneva nascosti quattro.

Certe volte Maria leggeva pure il giornale e lo traduceva ai soldati.

I: Va bene, basta così nonno. Grazie.

P: Di niente, di niente. La prossima volta però chiedimi delle cose più belle. Certa roba è meglio scordarsela.

 

GRIGUOLI RENATO