Intervista all’ex cestista John Leslie Fultz.

In vista dei recenti successi della squadra Virtus Bologna, che sta scalando la classifica della Serie A, abbiamo deciso di rivolgere qualche domanda all’ex cestista John Leslie Fultz, diventato celebre per il suo ruolo nella Virtus negli anni ’70.

John, come è nata la tua passione per il Basket e quando hai iniziato a giocare?
Ho sempre amato lo sport quando ero giovane e ne praticavo molti, come baseball, tennis, basket, golf e football americano. A quattordici anni ho cominciato a dedicarmi seriamente al basket perché ero cresciuto tanto e sentivo di avere più talento in quello sport che in altri.

Allora ti sei appassionato.
Si, mi sono appassionato e ho lavorato tantissimo per raggiungere alti obiettivi.

Infatti sei stato ai vertici, oggi cosa provi ripensandoci?
Veramente sogno spesso di giocare ancora – Sorride – ma vivo ancora l’emozione del basket attraverso mio figlio Robert, che sta giocando proprio nella Virtus.

Hai allenato personalmente Robert?
Si, ha cominciato quando era giovanissimo. Un giorno mi disse “ papà, vieni a vedere come gioco!”, mi chiese se potevo allenarlo e io risposi di si, ma non volevo che mi ritenesse responsabile dei suoi fallimenti. Così cominciammo ad allenarci per tre ore ogni giorno, solo una quando andava a scuola.

Quali consigli gli hai dato quando è entrato nel basket come professionista?
Il consiglio più importante che gli ho dato è stato quello di avere uno stile di vita adeguato e cercare di giocare più e meglio degli altri. Gli dicevo che doveva essere sempre concentrato al massimo, come quando si gioca una partita ufficiale, ed essere sicuro di sé per non sentire troppa pressione.

Riguardo al fatto che hai allenato, se ti dico Kobe Bryant cosa mi rispondi?
Kobe è uno dei migliori giocatori di tutti i tempi, è cresciuto qui in Italia e anche suo padre giocava. Ho giocato spesso con lui quando allenavo anche la squadra di Firenze.

Sei stato orgoglioso di lui?
Certo! Forse è uno dei giocatori più simili a Michael Jordan che ci siano.

Parliamo ancora un po’ di te, è stato difficile decidere di lasciare gli stati uniti per giocare in Italia?
Riflette. Devo dire che spesso ho agito impulsivamente e per quanto riguarda il basket è stata un po’ un’avventura. In America ho giocato nella stessa squadra dove adesso è Kobe, i Los Angeles Lakers, una delle squadre migliori al mondo, ma sono stato io ad abbandonarla perché non ero soddisfatto del contratto e così sono andato a giocare tra i campioni d’Europa, non me ne sono pentito, ma è stata una scelta avventata.

Nella Virtus ti chiamavano Kociss, che significato aveva per te questo soprannome?
Mi chiamavano cosi perché portavo sempre una benda e avevo la fisionomia simile a quella degli indiani, infatti mia nonna lo era.

Ti divertiva questo nomignolo?
Si, certamente era un onore essere chiamato con il nome di un grande capo Indiano come Kociss.

Credi di aver dato tutto quello che potevi al basket?
Quando ero nell’NBA sicuramente potevo dare di più, anche se qui ho raggiunto i livelli più alti, perché quando c’è più competizione migliori come giocatore.

Come ti sei avvicinato alle ideologie hippie e cosa ne pensi oggi?
Credo che concetti come la pace e l’assaporare i bei momenti sono giusti, ma altre cose, come l’uso della droga per espandere le conoscenze, sono sbagliate. È meglio farlo attraverso la meditazione o lo yoga, che erano famosi anche in quegli anni.

Hai scritto un libro, il cui titolo è “Mi chiamavano Kociss”, una sorta di biografia. Come mai hai deciso di darti alla scrittura?
Certamente pensavo che fosse una buona idea, anche perché il tema di questo libro è la dipendenza dalla droga e attraverso esperienze personali spiego come fare per uscirne, credo sia molto importante.

Ci sono altri progetti in cantiere?
Si, sto scrivendo un libro che si intitola “solo Napoli”. Ho deciso di scriverlo dopo aver letto “Dubliners” di James Joyce. Una raccolta di racconti dove descrivo personaggi e leggende di Napoli sotto il mio punto di vista.

Ultima domanda, lasceresti un autografo alla redazione DireGiovani?
Senz’altro!

Maria Ylenia Manzo