La vita e l’amore al tempo di nonna Gemma

Cappello introduttivo:

Gli anziani sono i naturali depositari dello scorrere del tempo, di quella storia orale che ha segnato fin dall’inizio lo sviluppo dell’uomo. Per questo motivo, per la mia indagine la donna più anziana della mia famiglia perché la sua voce serva per imparare e comprendere. Come viene esattamente precisato nelle indicazioni ricevute per la stesura di un’intervista ho spiegato a nonna Gemma a cosa mi serviva quella breve indagine in modo da stabilire fra noi due un contratto di cooperazione. Le ho spiegato che mi serviva la sua massima sincerità ma che allo stesso tempo non sarei stata mai indelicata per non invadere la sua privacy. Le ho anche detto che il nostro non era il solito colloquio fra nonna e nipote ma che io ero l’intervistatore e lei l’intervistata e l’obiettivo era preciso, cioè ottenere informazioni sul tipo di vita che si conduceva negli anni ’50 o quando lei una signorina e come era stata la sua infanzia subito dopo e a cavallo della Seconda Guerra Mondiale. Ho scelto di intervistare nonna Gemma nella sua cucina perché è il suo luogo preferito dove ci accoglie sempre la domenica. Mi sono posizionata di fronte e ho usato carta e penna, lei non ha voluto il registratore. Le poche notizie che conosco di lei sono il risultato dei commenti di mia madre sul suo carattere da giovane e altri brevi stralci di vita. Ho iniziato con domande generiche:

 

Giada: Come si chiama?

Gemma: “Mi chiamo Gemma”.

Giada: Quando e dov’è nata?

Gemma: “Sono nata a Cerro al Volturno il 26 settembre 1941

Giada: Da quante persone era composta la tua famiglia e che lavoro svolgevano i tuoi genitori?

Gemma: “Eravamo sette persone: cinque figli e i genitori contadini.”

Giada: Chi frequentava la scuola? E fino a quando?

Gemma: “Tutti noi cinque abbiamo frequentato solo fino alle scuole elementari.”

Giada: Quali erano i giochi che lei faceva? E quelli dei maschietti?

Gemma: “A nascondino, con le bambole di pezza che ci facevano noi o ci faceva mia mamma Maria. Saltavamo la corda e giocavamo alla campana. Di solito sempre davanti casa o sui gradini, mai lontani dal giardino o dall’orto. Andavamo anche a raccogliere le castagne o la frutta. Ma quando pioveva e faceva freddo ci raccoglievamo davanti al caminetto e ascoltavamo il racconto di orchi e fate mentre mamma arrostiva le patate o mangiavamo i fichi secchi. I maschietti potevano giocare anche fuori, sporcarsi e farsi male, erano più violenti e facevano a botte ma erano anche quelli che venivano puniti da papà con severità.”

Giada: Quando era piccola andava a scuola? La maestra era severa?”

Gemma: “Ai miei tempi andavamo a scuola fino alle elementari poi noi femminucce imparavamo a cucire, ricamare, ma soprattutto l’orto e le campagne. La maestra era severissima e ci dava le bacchettate sulle mani. Ricordo che sedia e banco erano attaccati e c’era un buco per il calamaio. La punizione più grave era quella di far inginocchiare a terra il bambino cattivo sui semi di granturco. Per poter passare alla quarta elementare si doveva superare un esame, così almeno mi ricordo.”

Giada: Parliamo di tempo libero: quando è diventata più grandicella verso i 13-14 anni cosa faceva?

Gemma: “La domenica andavamo a messa e poi potevamo fare sempre insieme a sorelle,zie e cugine una breve passeggiata. Tutti i sabati sera si bolliva l’acqua al camino, si svuotava nella grande tinozza in cucina e ci lavavamo. Quando avevo quindici anni mi piaceva farmi le pettinature con le trecce e infilarci qualche pettinino che mi avevano regalato per la Prima Comunione o per la Cresima. Spesso d’estate ci accompagnavano al fiume: le donne più grandi lavoravano con la lisciva i panni e noi più giovani facevamo il bagno con la sottoveste di cotone ma senza calze, poi ci asciugavamo sull’erba.”

Giada: Parliamo dei primi amori, dei corteggiatori, degli spasimanti

Gemma: “Come tutte le ragazze i nostri discorsi segreti erano proprio sull’amore; sognavamo e credevamo di trovare il principe azzurro. Ma eravamo molto controllate anche dai fratelli. Spesso la domenica all’uscita della messa passavamo davanti all’osteria e al muretto dove erano appoggiati tutti i giovanotti del paese. Non erano molti ma noi fantasticavamo su quelli che ci sembrano più belli. Cera un ragazzo di nome Michele che mi chiamava quando passava ma io non potevo fermarmi. Mi fece avere un bigliettino per un appuntamento ma io non ho avuto coraggio e non ci sono andata. Alla festa del paese abbiamo avuto l’occasione di stare in processione più o meno vicini. Ci siamo scambiati qualche parola e lui mi piaceva. Dopo che ha fatto il servizio militare ci siamo fidanzati e sposati nel 1961.”

 

RICCI GIADA