Conversazione Tra(n)sversale

In Italia si sente parlare sempre più spesso di gender, ma la maggior parte delle persone sa ben poco sulla comunità transgender. Gli argomenti da affrontare sarebbero tanti, ma in questa intervista si è cercato di riportare i punti cruciali della realtà delle persone trans nel nostro paese con l’obiettivo di renderne partecipi le persone cisgender.

Richard (Thunder) Bourelly è il presidente dell’associazione Azione Trans di Roma, si occupa di attivismo LGBTQIA+ e da circa tre anni tratta questioni care alla community sul suo canale YouTube. Con grande naturalezza parla del suo iter con le istituzioni e dei problemi con cui si scontrano i membri della comunità, senza dimenticare di analizzare quelli al suo interno, allontanandosi dal senso di tragicità che accompagna quei pochi programmi italiani che presentano questo genere di storie.

Oltre a interessarsi di tematiche arcobaleno, studia sociologia all’università Sapienza e nel tempo libero si dedica alle sue passioni, la cultura giapponese e i Pokemon, come si può notare dalla parete coloratissima di camera sua, piena di poster e pupazzi.

Nonostante lui non possa essere considerato il portavoce di un gruppo di persone così diverse, il suo punto di vista può essere di grande aiuto per coloro che non conoscono questa materia.

 

Come definiresti i termini: cisgender e transgender?

Cisgender è una persona la cui identità di genere corrisponde con il sesso assegnato alla nascita, quindi di base soltanto il contrario di trans. Mentre si è transgender quando l’identità di genere non corrisponde con il sesso assegnato alla nascita quindi una persona transgender può soffrire di disforia di genere e spesso di body dysphoria. Ci sono vari tipi di disforia.

Cos’è la disforia?

La disforia di genere, ossia quando il sesso assegnato alla nascita non corrisponde con l’identità di genere, può portare a body dysphoria che è la disforia nei confronti del proprio corpo quindi nei confronti delle caratteristiche che vengono associate al sesso femminile o maschile rispetto al fatto che uno sia FtM o MtF1 o non-binary. Poi ci sta la disforia nei confronti della società collegata al modo in cui si è percepiti dalla stessa: ad esempio un ragazzo FtM può provare disforia quando sente usare pronomi femminili perché viene percepito come una ragazza.

1) FtM: Female to Male; MtF: Male to Female

Potresti dare una definizione precisa?

È molto difficile dare una definizione precisa di disforia anche perché bisogna definire che tipo di disforia. La disforia di genere sarebbe il transgenderismo in generale, ossia non sentirsi appartenente al sesso assegnato alla nascita. Ma come ho detto prima ci stanno anche la disforia sociale oppure la disforia nei confronti del proprio corpo quindi dire disforia e basta… Diciamo che è soltanto un disagio, però non c’è un vero significato da assegnare alla parola disforia se non la si associa a un secondo termine. Molti usano soltanto il termine disforia, ma bisognerebbe sempre specificare di quale tipo di disforia si sta parlando.

Invece come definiresti le persone non-binarie?

Dipende dalla concezione che la persona non-binaria ha di sé, però fondamentalmente dovrebbero essere persone transgender che in ogni caso possono soffrire o meno di body dysphoria, ma l’unica differenza è che non rientrano nel binarismo maschio/femmina. Una persona non-binaria può essere bigender, e quindi avere due identità di genere differenti che possono essere maschile e femminile o due combinazioni differenti, oppure agender, ossia che non ha nessun tipo di identità di genere. Non esistono solo questi due tipi di binarismo, infatti una persona può essere anche genderfluid, demiboy, demigirl, genderqueer, trigender o altro. Molte persone confondono questo con i ruoli di genere oppure con l’espressione di genere, però non c’entra assolutamente nulla con ciò quindi va fatta questa distinzione.

C’è una differenza fra i termini transessuale e transgender?

Devo fare una distinzione fra la definizione che dà la comunità delle persone trans e quella degli psicologi in Italia. In Italia gli psicologi usano i termini transgender e transessuale per definire il modo in cui una persona si approccia ai propri genitali quindi una persona transgender sarebbe qualcuno che non vuole sottoporsi a operazioni ai genitali e che vuole rimanere coi genitali con cui è nata, mentre una persona transessuale vuole o ha effettuato operazioni ai genitali. Per gli psicologi ha tutto a che fare con cosa c’è lì sotto e non ha molto senso. Mentre per la comunità trans e per gli psicologi e psichiatri del resto del mondo transgender è un termine ombrello2 che va a includere sia le persone transessuali che non-binarie. Fa una distinzione fra il binarismo: una persona transessuale rientra nei canoni del binarismo maschio/femmina, quindi FtM o MtF, mentre una persona non-binaria no. Dunque è soltanto un modo per distinguere l’identità di genere e il modo di vedere il binarismo. La parola transessuale non si utilizza nel resto del mondo, si utilizza solo transgender.

2) umbrella term: espressione per indicare un termine generico

Perché è importante usare il nome e i pronomi giusti?

Prima di tutto ha a che fare con il rispetto. Non dovrebbe essere utilizzata come un’arma anche perché molto spesso le persone decidono di utilizzare i pronomi giusti soltanto con persone che stanno loro simpatiche e, se successivamente stanno loro antipatiche, decidono di utilizzare quelli sbagliati. Prendiamo ad esempio Caitlyn Jenner, un sacco di persone usano i pronomi maschili per lei perché effettivamente è un male per la comunità trans, ma questo non vuol dire che non bisogna rispettare la sua identità di genere. Comunque utilizzare pronomi sbagliati può andare ad aumentare problemi che possono avere le persone trans come depressione, ansia, attacchi di panico. In ogni caso, anche se una persona non dovesse avere chissà quanti problemi nei confronti dei pronomi – almeno da quello che dice-, la va a ferire parecchio perché non riesce ad essere vista nel modo in cui vorrebbe essere vista.

Quando si fa riferimento ad un periodo precedente al coming out o alla transizione molte persone dicono frasi come “prima che diventasse una ragazza” o “lui che prima era una lei”, qual è un’alternativa migliore?

Io penso che quando si parla del passato di una persona trans bisogna effettivamente chiedere a lei/lui/* perché ad esempio quando io parlo di me al passato non utilizzo né il mio vecchio nome né pronomi femminili. Però magari ci sta qualche ragazzo o ragazza che fa questa cosa perché si trova a proprio agio nel farlo. Però andare lì a parlare del passato di una persona trans e dare per scontato che voglia che si utilizzino i pronomi sbagliati o il vecchio nome, secondo me, è abbastanza transfobico. Bisogna andare lì da quella persona e chiedere: “Come vuoi che mi riferisca a te quando parlo di te al passato?” e poi muoversi in base alla risposta della persona.

Quindi la cosa più sicura da fare sarebbe continuare ad usare il nome e i pronomi giusti, cioè quelli che usa attualmente, e magari dire “prima del coming out” o “prima della transizione”?

Sì.

Quali domande e azioni andrebbero evitate sempre?

Ovviamente dipende dalla persona perché ognuno ha una sensibilità differente, però le domande che non andrebbero fatte sono quelle inerenti ai genitali oppure al vecchio nome oppure andare a vedere vecchie foto senza chiedere precedentemente. Ad esempio non andare a curiosare sul profilo Facebook per cercare ad ogni costo una foto vecchia per poi sbatterla in faccia alla persona. Infatti molti cancellano il proprio passato da internet per evitare ciò. Comunque di base i genitali perché molti sono fissati con quello, voglio effettivamente sapere se ha avuto l’operazione quando in realtà le operazioni sono tante e non esiste l’operazione. E anche cose come: “Come fai sesso?” oppure “Allora la tua ragazza è lesbica?” o cose del genere.

Molte persone non si preoccupano di fare domande invasive, ma nessuno si sognerebbe di farle ad una persona cisgender, mentre appena ne vedono una trans pensano: “Ne ho trovato una, devo sapere tutto!”

Esatto. Fondamentalmente non siamo qui per insegnare alla gente: sono cose che si possono trovare su internet senza nessun problema.

Per familiari e amici di lunga data può essere più difficile smettere di usare il nome precedente o i pronomi sbagliati, hai qualche consiglio?

Il mio problema è che la maggior parte dei miei amici li ho conosciuti quando avevo sui 14 anni su internet e io mi presentavo al maschile quindi i miei coming out sono stati al contrario in un certo senso. Non sono stati tipo “Guarda, tu mi conosci come una ragazza, ma in realtà sono un ragazzo”, ma sono stati “Tu mi conosci come un ragazzo cis, ma sono un ragazzo trans”. Si riferivano già tutti quanti a me al maschile quindi non ho avuto questo tipo di problema. Molti hanno sì problemi col mio nome perché hanno sempre utilizzato il mio nickname quindi ho amici e genitori dei miei amici che mi chiamano Ash. A scuola, invece, alcuni ci provavano e altri no, ma non sono andato nell’effettivo a chiedere cosa non riuscisse e cosa sì.

Qualche consiglio potrebbe essere quello di cambiare nome sulla rubrica e quindi vedere, quando chatti con la persona, il nome che si è scelta oppure cercare di non associarlo più al vecchio nome ma a quello nuovo anche tramite i nickname.

Poi dipende dalla persona: se io incontro un ragazzo FtM pre-T3, di cui so il nome anagrafico, a me basta che lui mi dica di essere FtM che io mi dimentico completamente quello vecchio. Ho tanti amici di cui so il nome anagrafico, ma adesso non me lo ricordo per niente.

3) pre-T: pre-transizione

Sì, dunque, non c’è un metodo preciso. Sostanzialmente è solo una questione di impegno e di abitudine. Ad esempio io non chiedo nemmeno il nome vecchio per evitare di confondermi e creare situazioni di disagio.

Sì, ci stanno tante persone che una volta che vengono a sapere il nome vecchio vanno ad associare quella persona a quello e lo utilizzano, anche per sbaglio. Secondo me è meglio non saperlo.

In che modo una persona cisgender può mostrare il proprio supporto verso la comunità trans o un conoscente che non ha fatto coming out?

Se si ha a che fare con una persona che non ha fatto coming out penso che la cosa migliore da fare sia aspettare che faccia effettivamente coming out con te. Magari si può aiutare il processo parlando di cose relative alla transizione in modo positivo per far sapere a quella persona che si è al sicuro nel parlare con te e che non deve aver paura perché comunque sa che in qualche modo supporti la causa quindi non avresti nessun tipo di problema.

Di base quello che penso che dovrebbero fare gli alleati è ascoltare quello di cui hanno effettivamente bisogno le persone trans senza decidere loro che cosa sia transfobico o meno, cosa vada fatto e cosa no, cosa sia okay da fare e cosa non lo sia. Ci stanno tanti che si dicono alleati, però poi dicono: “Guarda, secondo me questa cosa non è transfobica” quando loro non sono trans e non possono sapere cosa sia effettivamente transfobico o meno perché loro non provano disforia e non possono sapere se quella cosa dia o meno fastidio a una persona trans. Bisogna mettersi da parte, ascoltare e aiutare come le persone dicono di voler essere aiutate. Non dare niente per scontato e chiedere sempre per avere conferma.

Hai qualche consiglio per coloro che stanno pensando di fare coming out come transgender o non-binary?

Prima di tutto dipende con chi si debba fare coming out. Con la famiglia penso che sia molto importante sondare il terreno per capire più o meno qual è il loro pensiero. Se si è minorenni e si capisce che i genitori sono davvero transfobici e che potrebbero picchiarti o buttarti fuori di casa, secondo me, è meglio aspettare la maggiore età per essere tutelati maggiormente e avere la possibilità in qualche modo di andarsene anche grazie a un lavoro.

Il modo per fare coming out dipende dal rapporto con la famiglia: se uno ha un rapporto più stretto, potrebbe andare a parlare direttamente coi genitori oppure scrivere una lettera e lasciarla sul comodino e aspettare che la leggano oppure parlarne a tavola dicendo: “Ho sentito di un mio amico che dice di essere trans, voi cosa ne pensate?” o qualcosa del genere, far vedere film, lasciare piccoli suggerimenti per casa come libri o riviste.

Con gli amici io mi butterei direttamente perché gli amici si scelgono quindi se l’amico reagisce male, ciao non è più tuo amico. Perlomeno questo è il mio ragionamento: se un amico non ti accetta, vale la pena di averlo nella tua vita? Secondo me no.

Alla fine si tratta solo di buon senso e con la famiglia bisogna stare più attenti perché c’è una grande disinformazione riguardante l’LGBT+ community e in particolare verso le persone transgender pertanto bisogna cercare di informare.

Sì e se c’è bisogno si può andare insieme da uno psicologo in modo che lo psicologo possa spiegare meglio la situazione. Magari i genitori possono pensare: “Mio figlio è un ragazzino, magari si sta inventando tutto”, ma se poi lo conferma uno psicologo, che è una figura professionale che ha studiato queste cose e segue tante persone, magari si ricredono.

Dunque avere un appoggio dall’esterno può essere d’aiuto, ma ci si può rivolgere a qualunque psicologo? C’è per caso una situazione simile a quella dei medici obiettori di coscienza?

Da quello che so io, nessuno psicologo può rifiutarsi di seguirti. L’unico problema è che non sono cose che si studiano in università. Bisogna andare dallo psicologo che conosce effettivamente queste cose altrimenti potrebbe fare più male che bene.

In Italia, appunto, gli ambienti lgbt-friendly sono pochi perché si considera la comunità come un’eccezione che non ha bisogno di essere seguita, come se questi casi fossero uno su un milione.

Esatto. Infatti un altro problema potrebbe essere trovare uno psicologo che vuole seguirti, però non conosce l’argomento quindi le varie sedute si trasformano in un momento di update per lo psicologo stesso che comincia a fare mille domande per conoscere meglio l’argomento. A quel punto, però, gli stai facendo una lezione, non ti sta seguendo. Vai a pagare uno psicologo per far sì che lui conosca meglio l’argomento.

Da quanto ne sai tu, c’è formazione da parte degli psicologi a riguardo?

Non esiste formazione. Ci stanno vari centri di transizione in quasi tutte le regioni italiane tranne alcune del sud come Basilicata e Molise. Ci stanno regioni in cui i ragazzi devono muoversi oppure trovare un privato capace. Ad esempio io ne ho parlato con una delle psicologhe del SAIFIP, il centro di transizione di Roma, e mi ha detto che l’unico modo che ha trovato per avere una formazione su questo tema è stato quello di andare a lavorare per il SAIFIP come tirocinante perché in università non ne avevano mai parlato. Anche in ambito medico e infermieristico non c’è assolutamente formazione sull’argomento.

Uno dei problemi poi è la sindrome del braccio rotto, come viene chiamata in inglese, per cui qualsiasi problema medico viene associato alla transessualità. “Hai l’otite? In realtà è colpa degli ormoni quindi devi smettere di prenderli”, “Hai il braccio rotto? Sei caduto dal terzo piano? È colpa degli ormoni, devi interrompere la terapia!”

Guardando i tuoi video ho scoperto che se un ragazzo FtM ottiene il cambio dei documenti non può più andare dal ginecologo anche se vuole effettuare la bottom surgery.

Sì, infatti andrebbe fatto qualcosa per cambiare questa situazione perché non ha assolutamente senso. Anche per le persone intersessuali4, come fanno loro?

4) intersessuale: persona nata con caratteri sessuali che non rientrano nelle tipiche nozioni binarie del corpo maschile o femminile

Vorresti aggiungere qualcos’altro? Parlare di qualche altro argomento?

Forse della distinzione tra orientamento sessuale e identità di genere.

L’identità di genere non ha niente a che vedere con l’orientamento sessuale. Un ragazzo FtM può essere etero, gay, pansessuale e una ragazza MtF può essere etero, lesbica, bisessuale e una persona non-binaria può utilizzare questi termini oppure alcuni più appropriati come ginesessuale, ovvero attratta da persone di identità di genere femminile, o androsessuale, cioè che prova attrazione verso persone di identità di genere maschile. Questi sono termini più neutri che non vanno a collegarsi con l’identità di genere del soggetto.

 

Di Noemi Braghieri