LETTERA DI UN GIOVANE ALLA FELICITÀ

Cara Felicità,
ho avuto modo di constatare che, ormai da tempo, caratteristica e qualità umana è quella di identificare in illustri versi o in scarne definizioni logico scientifiche quei moti naturali artefici della pienezza dell’uomo noti come sentimenti.
Tra questi dimori tu, Oh Diva, gaiezza, letizia, il cui valore e significato che ti corona non può essere ridotto alla semplice intesa di un movimento atto alla realizzazione del singolo individuo in quanto, nella tua complessità, sei l’ espressione di un turbine di sentimenti che armonicamente convivono nel mio animo e di tutte le persone che anche per un attimo si sentono e credono felici.
Con mio dispiacere, tuttavia, il tuo valore si oppone ai canoni regolatori della società odierna ,fondata sul materialismo, sul consumismo , sulla rapida innovazione ed evoluzione scientifica che promette il progresso meccanico, anziché umano, generando nell’uomo un cambiamento che lo porterà a sostituire la reale felicità, motore dell’arte della vita, con una concezione meccanico-materialistica del sentimento. Per questo da tale condizione, scaturisce il temporaneo e limitato appagamento degli individui, acquisito dal desiderio di possedere l’oggetto bramato che, tuttavia, una volta ottenuto, tende al rapido esaurimento del proprio valore con conseguente perdita della acquisita meccanica felicità , tuo acerrimo alter ego, poiché getta l’uomo nell’eterno e sadico meccanismo consumistico che lo vede eternamente insoddisfatto e perso nella rincorsa all’oggetto del desiderio costantemente afferrato e subito perso .
Ti confesso, Oh cara ed offesa felicità, che tal pensiero non è affatto un oscuro e astratto presagio, ma opinione diffusa: “Ognuno si dichiara soddisfatto in relazione a ciò che realisticamente può ottenere, ma nessuno si ritiene tale perché le nostre aspettative sono cambiate, migliorate e desideriamo sempre di più” Così dice un noto scrittore di cui ahimè non ricordo il nome.
Continuando, è facile osservare come il progresso tecnico-scientifico e la tiranna globalizzazione economica, alimentata dall’eccessivo consumismo promosso dai mass-media, abbiano fatto dell’uomo una macchina “autoevolvente” estranea ai valori sentimentali che, inevitabilmente, accoglie la prospettiva della massima utilità a scapito delle leggi interiori dell’uomo, deponendoti quindi, o adorata, tra le braccia dell’oblio, proprio come fanno i fanciulli con i propri giocattoli quando questi hanno perso il fascino della novità.
In questo modo, si tende a creare un mondo nel quale ciascun oggetto inanimato, ciascuna forma di vita naturale e persino ciascun individuo risulta essere privato del suo valore e della sua importanza di cui tu, felicità, sei il cuore pulsante, in quanto capace di imprimere nell’oggetto o nell’uomo un significato necessario e fondamentale per la nascita delle interazioni umane.
Così un bambino nato in una famiglia poco abbiente sarà caratterizzato, per natura, dall’amore per i propri giocattoli che, per quanto semplici e poco costosi, si caricheranno dei valori cari all’infante stesso che assocerà l’oggetto alla figura materna o paterna, attribuendogli così un valore inestimabile.
Antiteticamente, tale processo sarà difficilmente realizzabile per un bambino nato in una famiglia ricca poiché, i genitori, tenderanno a confondere l’amore per il proprio figlio e le necessarie attenzioni, che esso richiede, con il materialismo eccessivo, facendo scaturire quindi l’interesse del bambino verso la quantità degli oggetti posseduti e non sul loro valore.
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Qualsiasi prodotto dell’ingegno umano, quindi, deriva dalla misticità e dalla capacità dell’uomo di attribuire sostanza e senso al proprio pensiero o sentimento che diviene forma nell’universo della propria psiche, casa e dimensione cara all’uomo, rappresentandolo e concentrandolo nei rigidi ma leggeri movimenti delle sculture o nella quiete travolgente delle pennellate di un dipinto.
Tali opere, per l’incessante meraviglia del significato e della verità di cui sono composte, risultano per naturale conseguenza uniche ed inestimabili, estranee dunque al mondo consumistico, di cui l’uomo è invece succube, poiché cresciuto nel desiderio di possedere manufatti prodotti su larga scala, privi di quella meraviglia intrinseca dell’oggetto stesso capace di rievocare l’unicità dei sentimenti.
In conclusione, mia cara felicità, l’uomo investe di più sull’eccessiva, sfrontata utilità materialistica che sulla bellezza della vita.

Con affetto, speranza e dispiacere.

Kevin Giusti
4B Informatica, IIS “L. di Savoia” Chieti