Gli hacker di Kim Jong Un

L’arrivo di internet, oltre che aprire eccezionali possibilità di informazione a ogni persona del
mondo, ha creato un nuovo tipo di criminale, affascinante e misterioso come l’Arsenio Lupin dei
tempi migliori: l’hacker.
L’hacker è un ladro d’informazioni telematiche, alle volte al servizio di enti nazionali o
sovranazionali, ma spesso in proprio o facente parte di leggendarie sette di rapinatori telematici,
come Anonymous.
Gli hacker, da essere solo un problema per multinazionali e servizi segreti, sono divenuti uno
spauracchio per ogni cittadino da quando si sono dimostrati capacissimi nel furto di denaro,
informazioni private o persino di deviare il regolare corso di un’elezione democratica, vedesi
Russiagate. Sono ormai un argomento che può essere usato per provocare paura nelle persone,
divenendo capri espiatori di più o meno qualsiasi crimine di importanza internazionale.
E quale miglior effetto di può sortire nel cittadino comune se il capro espiatorio non solo é un
hacker, ma anche al servizio della Corea del Nord, il piú pericoloso “stato canaglia” del mondo
(dopo Israele, ma guai a definirlo come tale), intento nella sua operazione di distruzione mondiale.
Ma ho specificato prima che il cittadino credente nell’esistenza degli hacker Nordcoreani é
“comune”, ovvero non interessato ad informarsi, facendo il gioco della “propaganda” occidentale.
Andandosi però ad informare, come ha fatto la scrittrice di settore Loretta Napoleoni, si arriva alla
conclusione che gli hacker, nel regno della famiglia Kim, non possono praticamente esistere.
Il primo motivo per il quale gli hacker nordcoreani sono una bufala è l’inaccessibilità dell’internet
alla stragrande maggioranza dei cittadini Nordcoreani. Esiste un sistema piuttosto semplice di nome
intranet, che peró non possiede collegamenti con l’internet mondiale; é una rete chiusa, che non
permette ad eventuali usufruitori di entrare nella rete globale, mezzo d’offesa dei criminali
informatici.
Esistono due cavi di collegamento a internet che attraversano le frontiere cinesi e russe e portano in
Corea del Nord, permettendo ad un elité ristrettissima e selezionata della DPRK di surfare il web
ma, e questa è la seconda ragione, i dati devono passare per i server Cinesi e Russi, rendendo note
eventuali attività hackeristiche dei Nordcoreani a due superpotenze nucleari, che non solo hanno il
potere di spiare ma anche di bloccare ogni attività esercitata al di lá della DMZ: non esattamente
una prospettiva auspicabile ad un paese chiuso al mondo e in perenne stato di pericolo come la
Corea del Nord.
Classificata l’esistenza di hacker della DPRK praticamente impossibile, e quindi cosi bollate come
fake news tutte le accuse di hacking rivolte al regime Jucheista, è da chiedersi quante altre siano le
notizie false diramate da media e istituzioni occidentali per creare un clima d’odio e tensione intorno
al feudo del Rocket Man, e la risposta é: sono tante e ai limiti del buffonesco.
Ne é esempio l’arresto e assassinio , ordinato dall’assetato di potere (ma erroneamente visto come
pazzo) Kim Jong Un, di suo zio, uomo molto influente durante il regno del padre e perciò
pericolosissimo per la leadership. Si è speculato risibilmente del metodo d’esecuzione, dall’essere
sbranato da numerosi cani, all’essere stato giustiziato con un bazooka, a essere stato legato ad un
missile e lanciato nell’atmosfera, come se la Corea del Nord avesse missili da sprecare… Con ogni
probabilità è stato “solo” fucilato, nessuno in occidente saprà mai la verità, perché gli atti burocratici
Nordcoreani sono irraggiungibili e perché i media della DPRK sono al 101% composti da rumorosa
propaganda.
É quindi essenziale andare oltre, per comprendere davvero il paese più pericoloso al mondo, andare
oltre l’apparenza dataci da determinati media, poiché la verità è spesso molto diversa da come
vorremmo che fosse.