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Intervista ad un avvocato che avrebbe voluto fare il medico

A cura di Luisa Fiordelli (classe 4^ L)

Siamo qui con l’avvocato Adele Cardarelli, che esercita la professione di avvocato nel proprio studio nel centro di Roma.

Buonasera dottoressa, si presenti con parole sue ai nostri lettori.

Sono una donna che, come tutte le altre, deve barcamenarsi per conciliare gli impegni lavorativi con quelli familiari, che non sono diminuiti nonostante i miei tre figli siano abbastanza cresciuti. Mi definirei quindi una mamma/moglie/avvocato che ad un certo punto della propria vita, con l’arrivo dei figli, si è trovata a dover diminuire notevolmente l’impegno professionale, per seguirli a tempo quasi-pieno. In questo modo sono stata penalizzata nel mondo del lavoro.

Cosa intende per tempo quasi-pieno?

Che li seguivo personalmente ma comunque senza abbandonare l’interesse per il mio lavoro, per il quale continuavo ad aggiornarmi e a studiare per non rimanere indietro, perché sapevo che prima o poi avrei ripreso a lavorare a tempo pieno.

Cosa ti ha spinto a scegliere questa professione e come hai iniziato?

Dopo la laurea ho iniziato la pratica forense in uno studio di famiglia, ma non era proprio quello che avrei voluto fare. Le confesso che avrei voluto diventare un medico, ma mio padre mi sconsigliò fortemente la facoltà di medicina, con la scusa che c’erano troppi medici in Italia. Col tempo ho capito che voleva che io scegliessi il suo stesso corso di laurea, perché non era riuscito a convincere mio fratello maggiore, ma ormai ero avviata su questa strada che tutto sommato non mi è dispiaciuta. Mi rimangono tuttavia sempre il rimpianto e la passione per la medicina.

Perché avrebbe voluto fare il medico?

Mi piaceva molto l’idea di poter aiutare le persone, e comunque ho sempre avuto un certo occhio clinico. Con i miei figli ho sempre eseguito diagnosi corrette, prima ancora che li visitasse la pediatra. Addirittura ricordo un caso in cui diagnosticai a mia figlia una particolare dermatite che il dermatologo non era riuscito a riconoscere, tanto da darle i farmaci sbagliati. Vista l’inefficacia della cura consultai un secondo dermatologo che confermò la mia prima diagnosi e diede le medicine corrette.

Però in qualche modo anche gli avvocati aiutano le persone, giusto?

E’ vero, ma ho sempre pensato che la capacità di guarire fosse quasi un superpotere, mentre l’aiuto che può dare un avvocato civilista rimane sempre confinato ad un discorso economico.

Ha avuto difficoltà all’inizio della sua carriera?

Gli inizi della professione sono sempre difficili, non fosse altro che ci si sente sempre un po’ inesperti rispetto ai colleghi più anziani e quindi più esperti. Ma devo dire che anche con il passare del tempo il mestiere di avvocato non diventa più facile, perché intervengono sempre nuove leggi e scelte politiche che rendono arduo l’esercizio della professione. Inoltre si deve considerare che Roma non è una piazza facile, visto il gran numero di avvocati che vi lavorano e quindi la forte concorrenza.

Ha un aneddoto divertente da raccontare sugli inizi della sua carriera?

Non ricordo aneddoti particolarmente divertenti. Sicuramente ricordo quello che per me è stato un momento molto emozionante: il giuramento nella sede penale del Tribunale davanti al magistrato. Ora non è più così, con la riforma del 2012 i nuovi avvocati pronunciano una formula di impegno, non più un giuramento, innanzi ai propri colleghi del Consiglio dell’Ordine di appartenenza. Tuttavia ricordo ancora l’emozione di noi giovani avvocati che avevamo appena passato l’esame e ci trovavamo in tribunale dove i colleghi più anziani facevano a gara per prestarci la toga da indossare davanti al magistrato per prestare il giuramento. Ero così agitata che mi tremava la voce.

Perché dovevate farvi prestare la toga? Non avevate ognuno la propria?

Assolutamente no, a parte il fatto che le toghe sono molto costose e i neo avvocati non sempre se la possono permettere, in ogni caso quella del “prestito della toga” era una tradizione, quasi come un battesimo nel quale i colleghi maggiori fungevano da padrini.

Alla fine è soddisfatta della sua scelta, le piace la sua professione?

A conti fatti direi di si, anche se covo l’insano proposito di segnarmi a medicina, magari con il programma dell’università della terza età. O forse se uno dei figli sceglierà medicina gli ruberò i libri. Una cosa è certa, sicuramente non farò pressioni in questo senso, anche se a volte il condizionamento psicologico familiare opera in modo sottile.

Un consiglio che daresti al lettore che voglia diventare avvocato.

Armarsi di tanta voglia di studiare e di scegliere questa professione solo se fortemente motivati. In ogni caso di non dimenticare mai l’amore e il rispetto della legge che dovrebbe sempre governare le scelte degli operatori del diritto. Purtroppo a volte ci si perde per strada…

La ringrazio del tempo che mi ha dedicato e dei consigli che ha dato ai nostri lettori e le faccio i migliori auguri per la sua attuale professione e per quella dei suoi sogni.