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La libertà sembra essere un privilegio: gli ultras negli stadi non sono criminali

Mentre l’Italia è costretta a fronteggiare le difficoltà economiche del paese, ad applicare le
disposizioni europee, mentre i cittadini sono costretti al sacrificio quotidiano e sui giornali leggiamo
fatti di cronaca nera quali aggressioni, omicidi, stupri, violenze, è impensabile che il problema delle
Forze dell’ordine, dei vari Prefetti, dei Questori e talvolta di alcuni politici siano i tifosi negli stadi.
Spesso sentiamo le interviste di personalità importanti che dichiarano di voler adottare nuove norme
repressive nei confronti di movimenti ultras ritenuti dannosi per la società, e molte volte, i più
interessati alla faccenda, poiché questo non appare sui giornali, sentono parlare di casi in cui dei
ragazzi o padri di famiglia sono costretti a dover pagare multe salate per aver esposto uno striscione
durante una manifestazione sportiva, nello specifico un evento calcistico, per l’accensione di torce e
fumogeni o per non aver rispettato il posto segnato sul biglietto. Poi ci sorprendiamo se la presenza
minacciosa della Digos negli stadi aumenta la tensione tra i cittadini, e talvolta porta agli scontri
con le tifoserie, di cui i singoli individui si sentono privati della libertà di esprimere la propria
passione. Forse occuparsi di questioni più difficili, agli organi competenti risulta rischioso, perciò si
sentono costretti ad adottare misure restrittive su chi non ha l’effettiva possibilità di opporsi alle
loro decisioni e la capacità di incutere timore agli stessi: questa è l’unica spiegazione che riescono a
darsi le migliaia di persone che prima di entrare allo stadio sono sottoposte a numerosi controlli da
parte di Stewart, che impediscono l’entrata di bottigliette d’acqua, accendini, e più in generale
qualsiasi oggetto che non siano telefono, portafoglio e chiavi, e da parte della Digos, che esegue una
perquisizione dettagliatissima di ogni parte del corpo (ripeto, come se il problema della società
fossero i ventenni che allo stadio fanno uso di droghe leggere), talvolta costringendo le suddette
persone a togliersi le scarpe e farle togliere ai propri figli anche se di età pari o inferiore ai 14 anni,
o imponendo obblighi di questo genere con atteggiamenti spesso intimidatori. L’impossibilità di
giustificare alcune frasi o azioni delle autorità è la loro condanna, che inevitabilmente porta questi
ultimi a tenere conferenze stampa gonfie di statistiche esagerate, di numeri impensabili e falsi,
tentando di mettere in cattiva luce chi si reca dentro gli stadi per sostenere la propria squadra del
cuore. L’ultimo esempio, ma forse il più significativo, è l’introduzione di barriere di plexiglass
all’interno delle curve delle tifoserie romane, volte a dividere i settori: un esperimento fallimentare,
la cui ridicolezza ha portato difatti alla rimozione di quest’ultime dopo che i tifosi di Roma e Lazio
hanno attuato una protesta pacifica, disertando quello che per decenni è stato il luogo di ritrovo per i
famosi amici da stadio, che condividono la stessa fede e gli stessi ideali. “Riportare le famiglie allo
stadio” era il motto che lanciavano i giornali e l’obiettivo che si poneva l’ex prefetto Gabrielli, colui
che ha organizzato e autorizzato i lavori (“riportare” in che senso? Fino a quegli anni l’AS Roma,
per esempio, aveva mantenuto una media difficilmente inferiore ai 40000 spettatori a partita, 40135
nell’anno che precedette la costruzione delle barriere). Dopo partite in cui dagli spalti non veniva
alzato neanche un coro, dopo che tutti gli appassionati di calcio della capitale hanno assistito a
derby privi di bandiere e fumogeni, dunque senza quella componente che molti ritengono
fondamentale qual è il tifo, dopo che le società dell’AS Roma e SS Lazio non hanno completato la
vendita degli abbonamenti delle rispettive curve (record negativo della storia, da più di cinquanta
anni non succedeva che in curva sud, il settore più popolare, rimanesse qualche abbonamento
invenduto), dopo che sono stati compiuti dei sondaggi, dai quali sono emerse le motivazioni per le
quali il numero di spettatori è notevolmente calato rispetto agli anni passati (mancanza di
aggregazione, introduzione di controlli folli e misure di sicurezza eccessive), l’allora neo-ministro
dello Sport Luca Lotti ha autorizzato la rimozione di queste vetrate che sono state introdotte come
impedimento per i tifosi di commettere scorrettezze all’interno dello stadio e che sarebbero dovute
servire per mantenere in maniera più stabile l’ordinamento pubblico, ma che si sono rivelate
solamente strutture che hanno reso impossibile la visione della partita in curva, per un’intera
stagione calcistica, a gruppi di amici che, sfortunatamente, avevano il posto assegnato in “settori
diversi”. Le polemiche che hanno accompagnato e seguito questo evento spiacevole, che non ha
precedenti neanche in Europa, sono state molte, inevitabilmente alimentate dalle dichiarazioni del
fautore dell’innalzamento delle barriere Franco Gabrielli, che ad esempio ha riportato la percentuale
di persone che in curva sud hanno avuto precedenti penali (27%), per dare l’idea dello scenario con
cui le forze dell’ordine devono quotidianamente confrontarsi per prevenire e reprimere episodi di
violenza o di malaffare, ignorando però che col passare degli anni il numero di episodi di questo
genere negli stadi è visibilmente calato, gli scontri tra le tifoserie rivali sono diminuiti, e che l’unica
differenza rispetto agli anni ’80 è il gonfiore mediatico al quale sono sottoposte alcune vicende che
risultano, agli occhi della popolazione, più gravi e in maggior numero rispetto agli anni precedenti.
Andrebbe fatto intendere alle istituzioni che la modalità per limitare ed eliminare eventi come quelli
che hanno portato alla morte tragica del tifoso napoletano Ciro Esposito, che ha dato la possibilità
di adottare norme più stringenti nei confronti degli ultras della capitale, non è l’introduzione della
Tessera del Tifoso o l’emissione di leggi come quelle introdotte dai ministri Pisanu (2005) e Amato
(2007), che, di fatto, impediscono la libera espressione della propria fede calcistica, ma
probabilmente stiamo parlando di persone che non seguono gli eventi calcistici e non conoscono
veramente cosa significa essere ultras, condividere qualcosa che va oltre ogni sentimento e
concezione reale, perché altrimenti avrebbero notato gli striscioni degli ultras di tutta Italia che, ad
esempio, si sono dichiarati “solidali con il popolo sardo”, dopo che i cittadini avessero subito il
cataclisma nel 2015 che ha portato alla morte di decine di persone, o avrebbero riportato in prima
pagina le iniziative di gruppi ultras noti, di note tifoserie d’Italia, che hanno organizzato raccolte
fondi per sostenere i familiari delle vittime sopravvissuti ai vari terremoti del centro-Italia, o
avrebbero riportato i risultati ottenuti da quelle stesse persone che sono dipinte come criminali, che
invece s’impegnano a sostenere i bambini che sono affetti da rare malattie e che hanno bisogno di
cure: forse queste notizie non avrebbero fatto lo scalpore di una notizia inventata o una
dichiarazione falsa quale “Il ripetersi di una serie di comportamenti avvenuti nelle curve ha messo a
repentaglio l’incolumità di alcuni spettatori e il regolare svolgimento della partita”, il cui pensatore
è sempre il Questore Franco Gabrielli, che ha ancora una volta cercato, invano, di giustificare
un’azione folle quale l’imposizione delle fatidiche barriere nelle curve romane, che da molti è stata
considerata come la più grande repressione di sempre.
“La parola “ultras” è spesso associata alla delinquenza, in realtà siamo persone che amano il
calcio e hanno sempre aiutato chi soffre” sono le parole di un capo-ultras di un gruppo importante
della tifoseria della Salernitana, dopo l’iniziativa del gruppo stesso di aiutare Francesco, bambino
affetto da una rarissima malattia e che necessitava di un trapianto al fegato. Quest’avvenimento
risale al 2016 e ai tifosi d’Italia viene da pensare che l’ex prefetto Gabrielli e le altre istituzioni
interessate non ne abbiano mai avuto notizia. La speranza comune è che si possa tornare a sentirsi
liberi di esprimere la propria fede calcistica, e difficilmente saranno introdotte norme che
limiteranno la determinazione di ogni tifoso che persegue quest’obiettivo.

Lorenzo Facciaroni