Un occhio in più sull’arte Italiana

Qui Silvestro Longo, paroliere e sceneggiatore, ci concede un assaggio del mondo teatrale e musicale italiano di oggi e di ieri attraverso il suo percorso artistico.

Nel tuo lavoro come ti definisci?

Nasco paroliere. Vedo le mie canzoni come delle figlie, le amo una per una, si tratta di una creatura in trenta parole. Col tempo l’intrusione delle multinazionali purtroppo ha fatto si che i diritti d’autore venissero da loro inglobati. Quindi chi faceva questo mestiere se non aveva altre entrate moriva di fame. Sapendo scrivere anche altro, mi sono messo a scrivere altro.

Perciò è cosi che sei passato alla sceneggiatura?

In realtà la creazione di testi mi è sempre appartenuta. Il mio lavoro di paroliere non l’ho mai abbandonato, l’ho solo allentato, l’ultima canzone l’ho scritta 48 ore fa, quando spegni quel coso (riferendosi al registratore) te la faccio sentire, una prima mondiale ahahah

Quindi hai una specie di produzione in corso?

Bhe abbiamo da poco completato un musical, adesso sto litigando col produttore per l’uscita, sai a meno che tu non sia nell’ambito del Sistina ci sono sempre queste tipo di complicazioni. Alla fine di tutto avere come sogno il Sistina è inevitabile, lì fai il botto.

Come ti sei infilato in questo mondo artistico?

Durante il periodo universitario conoscevo un amico che aveva un trio (fratello di Edda Dell’Orso, voce della colonna sonora scritta da Ennio Morricone, di “Giù la testa” un film di Sergio Leone) e gli serviva un paroliere. In questa situazione, con il mio spirito da poeta che scriveva rime e rimette, mi sono ritrovato in enorme difficoltà nel riadattare i miei testi a una musica. Ti costringe a spezzettare il discorso, devi scrivere in una metrica musicale rimasticando il testo che hai creato inizialmente.

Poi devo dire che ci siamo divertiti molto, il sabato sera riempivamo i locali di gente.

Nel tuo lavoro come sceneggiatore invece quale trovi sia la parte più difficile?

Di certo la decisione del registro linguistico è tutto, per ogni personaggio c’è un certo registro e un certo comportamento da seguire. L’attore in quel momento deve essere quello che sta impersonando in modo che al pubblico risulti credibile. Se scrivo di una prostituta di certo non la farò educata insomma.

Nella costruzione di uno spettacolo c’è una collaborazione tra il regista e lo sceneggiatore?

Di norma no. Ai tempi ci ho provato ma notando che era controproducente sono diventato un po’ più elastico e la costruzione dello spettacolo la lascio completamente a loro. Io mi siedo alla prima come ti ci siedi tu.

Nelle tue commedie cerchi di far passare una morale?

Una morale? La morale è un termine un po’ desueto, non c’è più una morale. Quello che cerco di creare nei miei spettacoli è un effetto sorpresa finale, anche se ormai è difficile da creare anche quello. La gente non si sorprende più di niente, nel teatro di oggi hanno messo anche il nudo integrale accorgendosi che dopo otto secondi non lo guarda più nessuno. Ormai sono più le tette scoperte che quelle coperte.

Nel teatro che generazione pensi si stia creando?

In questo preciso momento la numerosa generazione di attori italiani che si sta creando è molto competitiva. Dopo questo periodo di pura decadenza del teatro forse qualcosa sta rinascendo. Sono molto fiducioso in questo.

 

VALERIA