Sempre più frequentemente si sentono notizie di episodi anche gravi legati a comportamenti alimentari scorretti da parte dei giovani. Se le conseguenze (anoressia, bulimia etc.) sono sotto gli occhi di tutti e nessuno dubita più della necessità di correre ai ripari di quella che può e deve essere considerata una vera e propria emergenza generazionale, non vi è comune accordo sulle ragioni più profonde che possono determinano questo tipo di problemi e su quali siano le strategie più corrette per affrontarlo. Non a caso si succedono le iniziative che cercano di affrontare il tema; solo per fare riferimento alla nostra città, si pensi alla “Giornata dei disturbi alimentari” organizzata dal Gemelli il 15 marzo di quest’anno o la pubblicazione “A cura di salute” dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù in cui si affrontano i temi del cibo, del suo consumo, del suo abuso e del suo rifiuto, e i connessi disturbi alimentari come anoressia e bulimia, tipici dell’adolescenza.
L’emergenza del problema può essere meglio compresa partendo dai dati che possono aiutare a capirne la dimensione e, in parte anche l’origine di situazioni che spesso, come vedremo, possono sfociare in veri e propri drammi.
Se, evidentemente, non è possibile avere una rilevazione precisa di un fenomeno così insidioso, ormai gli esperti parlano di più di tre milioni di persone che soffrono in Italia di disturbi alimentari, due terzi dei quali in età adolescenziale, con un fenomeno in costante e inarrestabile crescita (oltre 8.000 nuovi casi l’anno), e con una percentuale di mortalità che si attesta intorno al 6% per l’anoressia e al 2% per la bulimia.
Il fenomeno colpisce in maniera prevalente le donne (oltre il 90% dei casi, con una percentuale di circa il 10% delle ragazze comprese tra i 12 e i 25 anni che ne soffrono), ma la novità di questi anni è che il problema sta assumendo proporzioni crescenti anche tra i maschi e tra persone che hanno superato i 50 anni di età.
Nel mondo occidentale (dove si può parlare di disturbi legati al comportamento alimentare) il fenomeno è parimenti drammatico se si pensa che negli USA rappresenta la prima causa di morte per malattia mentale.
Il punto di partenza per affrontare questa emergenza è una corretta diagnosi delle sue cause. A questo riguardo non v’è dubbio che un comportamento alimentare non corretto derivi da un stato nervoso (si parla spesso di anoressia nervosa e di bulimia nervosa) riconducibili a modelli eccessivamente difficili da raggiungere, quali una magrezza fuori dalla norma.
Queste pressioni possono derivare dal gruppo sociale in cui i giovani sono inseriti (es. scuola, amici etc), dalla competizione sportiva (in alcuni sport il peso è cruciale) o addirittura dalla stessa famiglia che, seppur indirettamente, riconosce come positivi modelli alimentari non sani.
Ma quale può essere la risposta a un fenomeno che, visti anche i numeri descritti in precedenza, ormai qualcun non esita più a definirlo come una vera e propria “epidemia sociale” ?
La prima risposta non può che venire dalla famiglia. La famiglia è e rimane la “prima sentinella” che ha il compito e il dovere di “rilevare” comportamenti anomali, quali perdite di peso associate a stati di ansia e nervosismo; se infatti nelle fasi successive si deve fare ricorso ad esperti, questa fase non può essere demandata a nessuno, perché una presa di coscienza tempestiva del fenomeno permette di affrontarlo per tempo aumentando le possibilità di successo. La comprensione del problema da parte della famiglia aiuta anche i suoi componenti ad avere un atteggiamento corretto che non può che essere quello di stare vicino ai propri figli ascoltandoli ed evitando facili giudizi. La prima cosa da capire è che i ragazzi che soffrono di questi disturbi non sono pienamente consapevoli di quello che gli sta accadendo ed è cruciale aiutarli a riconoscere la loro patologia, primo passo per affrontare correttamente e sconfiggerla.
Se, dunque, il ruolo della famiglia è ineliminabile e insostituibile, non bisogna neppure cadere nell’atteggiamento opposto, ossia di pensare che problemi come questi possano essere affrontati da soli, in casa, chiudendosi in un atteggiamento autoreferenziale che può nascondere il desiderio di negare il problema. Queste patologie, in particolare l’anoressia, sono come un “piano inclinato” su cui corre una pallina: vanno fermate per tempo prima che prendano velocità, e per queste è necessario l’aiuto di specialisti. I giovani vanno infatti rieducati ad una corretta nutrizione con l’aiuto di psicologici e nutrizionisti che debbono accompagnarlo fino a che non abbia da un lato superato l’emergenza legata al peso, ma, dall’altro, abbia anche acquisito una maturità psicologica per quello che riguarda il corretto comportamento alimentare da tenere.
Infine una considerazione che esula dai casi singoli che, come detto, debbono essere affrontati con un’azione paziente e sistemica di famiglia e specialisti. Ci dovremmo tutti chiedere come mai questo accade pur vivendo in una società dove i mezzi di informazione continuamente danno notizia della gravità di questi problemi; come mai i giovani, e non solo, cedono a questi modelli di bellezza, successo sportivo, prestazioni professionali spesso non raggiungibili e realistici ?
La risposta, ad avviso di chi scrive, è nel profondo desiderio che ogni essere umano ha di essere amato e una risposta sbagliata a questa legge scritta nel cuore dell’uomo è il tentativo di raggiungere una perfezione fittizia per essere ammirati dagli altri, quasi che questa ammirazione possa essere il surrogato del vero amore che ognuno ricerca.
di Benedetta De Prisco