Le donne

Fino alla fine della Seconda Guerra mondiale le donne, in Italia, non potevano né votare né intentare una causa. Non erano minimamente tutelate quando aspettavano un figlio. Non avevano accesso a molte cariche professionali. Cittadine di serie B, non avevano “personalità giuridica”, come se il semplice fatto di essere donne impedisse loro la possibilità di partecipare attivamente alla vita pubblica e di godere degli stessi diritti politici e civili degli uomini. 
Le cose cominciano a cambiare solo a partire dal 1946: grazie ad un decreto legge del 1945, le donne ottengono, per la prima volta, la possibilità di andare a votare, di essere elette, di contribuire alla stesura della Costituzione e di presentare in Parlamento le prime proposte di legge contro le discriminazioni di genere e in favore della parità. Nel 1958, la legge Merlin abolisce la regolamentazione della prostituzione e le “case chiuse”. Nel 1960, si decide l’eliminazione dai contratti collettivi nazionali di lavoro delle tabelle remunerative differenti per gli uomini e le donne. Nel 1970, dopo molte lotte e molte polemiche, viene approvata la legge sul divorzio. Nel 1971, la legge 1204 istituisce la tutela delle lavoratrici madri. Nel 1977, si sancisce il principio del diritto di parità nel campo del lavoro. Nel 1996, vengono approvate le prime norme contro la violenza sessuale.

Le leggi che vedono come protagoniste le donne negli ultimi cinquant’anni si muovono in due direzioni precise: da un lato, si cerca di abrogare le norme più esplicitamente sessiste, cercando di promuovere la parità uomo/donna nell’ambito familiare; dall’altro, si approvano leggi in grado di promuovere una nuova cultura del lavoro e del vivere-insieme. Progressivamente, le donne delineano una dimensione della cittadinanza che deve essere, per tutti, una cittadinanza sociale, politica e giuridica, favorendo la condivisione di valori e responsabilità. Cercano di tradurre giuridicamente i principi sanciti dalla Costituzione sull’uguaglianza senza distinzione di sesso, di opinioni e di condizioni politiche, personali e sociali. Si battono per promuovere la pari dignità, sia sul piano sessuale, sia su quello sanitario. Come si traducono però queste leggi nella vita reale delle donne? Come vengono applicate oggi? Quali trasformazioni effettive ci sono state nella quotidianità delle italiane?

Per quanto riguarda la questione del lavoro, nonostante le molteplici leggi che si sono susseguite negli ultimi cinquant’anni fino a quella del 10 aprile 1991 che prevede tutta una serie di “azioni positive” per la promozione della concreta parità di genere, l’occupazione delle donne in Italia è ancora tra le più basse in Europa. Certo, il numero delle imprenditrici e delle lavoratrici autonome è in costante aumento. Il tasso di inattività femminile, però, resta al 48,5% a fronte di una media europea del 35,1%. Le donne continuano a guadagnare di meno rispetto agli uomini, hanno difficoltà ad accedere a posizioni di responsabilità, e sono ancora le prime ad abbandonare il lavoro per dedicarsi alla famiglia e ai figli. Nonostante le “azioni positive” e le “quote rosa” nei consigli di amministrazione e in politica, non si riesce a mettere fine alla maledizione del “soffitto di cristallo”, quella barriera a prima vista invisibile, ma di fatto molto resistente, che impedisce a tante donne di arrivare allo stesso livello economico e sociale degli uomini. Non si tratta infatti di un problema legato solo all’assenza di servizi adeguati di welfare, ma anche alla persistenza di stereotipi e di pregiudizi. Si continua a pensare che le donne manchino di alcune “competenze chiave” (autostima, capacità di separare sfera lavorativa e sfera affettiva, leadership). Si persiste a “naturalizzare” il genere e ad attribuire alla donna tutta una serie di virtù femminili che la renderebbero più adatta degli uomini ad occuparsi dei figli e della casa. 



Considerazioni analoghe valgono purtroppo anche per quanto riguarda alcune leggi finalizzate alla salvaguardia della salute delle donne. Basti pensare alla legge 194 sull’IVG. Nonostante la finalità della legge sia quella di mettere fine alla clandestinità degli aborti garantendo a tutte le donne la possibilità di interrompere le gravidanze indesiderate gratuitamente e nelle strutture pubbliche, molte donne si trovano di fatto discriminate. In alcuni ospedali, il tasso degli obiettori di coscienza è superiore all’80%, costringendo le donne a spostarsi da una regione all’altra o, addirittura, a recarsi all’estero. Il problema, oggi, non è più quello della legittimità o meno dell’aborto, quanto quello di permettere effettivamente a tutte coloro che lo desiderano, ne hanno bisogno e lo chiedono, di poter avere accesso ai servizi. A che serve, d’altronde, una legge, se poi non viene applicata ovunque nello stesso modo?

Per non parlare poi della questione della violenza. Le prime norme adottate dal Parlamento italiano risalgono al 1996. Prima di essere modificate e precisate nel 2009 dall’allora Ministro Mara Carfagna. Prima della ratifica della Convenzione di Istanbul e il decreto legge sulle violenze di genere del 2013. Certo, tutte queste leggi hanno notevolmente rafforzato le misure di punizione dei colpevoli. Hanno previsto il finanziamento dei centri anti-violenza che si occupano delle vittime proteggendole e aiutandole a ricostruirsi una “vita normale”. Hanno anche immaginato – se si pensa in particolare al decreto legge del 2013 – numerose misure di prevenzione attraverso un lavoro nelle scuole o anche attraverso i media. Ancora una volta, però, l’applicazione della legge resta insoddisfacente. Anche semplicemente perché la questione della violenza contro le donne non è solo un’urgenza, ma anche e soprattutto un problema strutturale che si può combattere solo trasformando, con l’educazione e la cultura, la mentalità di molti uomini e di molte donne. 

Come spiegava Montesquieu nel 1748, quando si vogliono cambiare i costumi di una società e modificarne i comportamenti, non ci si deve illudere: le leggi sono necessarie, ma mai sufficienti; affinché la legislazione possa avere un impatto sulla società deve sempre essere accompagnata da numerose azioni sociali ed educative. Con questo non si vuole affatto banalizzare l’importanza di tante leggi che, dal 1946 ai nostri giorni, hanno visto come protagoniste le donne. Si vuole solo sottolineare la necessità e l’importanza di un lavoro di rete tra “donne parlamentari” e “donne della realtà” che, insieme anche agli uomini, porti pian piano a una vera e propria rivoluzione culturale. 

Legge contro il femminicdio

Prevenire la violenza di genere, proteggere le vittime e punire severamente i colpevoli. Sono questi i tre obiettivi del decreto legge contro il femminicidio e la violenza sulle donne. «Una buona legge», l’ha definita il ministro per i Rapporti con il Parlamento Dario Franceschini. «Un primo passo per contrastare un fenomeno odioso e intollerabile. Da oggi il nostro ordinamento si arricchisce di un provvedimento che garantirà maggiore protezione alle donne».

Ecco, in sintesi, le norme più importanti contenute nel decreto legge.

Pene più severe 
Il decreto prevede l’aumento di un terzo della pena se alla violenza assiste un minore e/o se la vittima è in gravidanza e/o se la violenza è commessa dal coniuge (anche se separato) e dal compagno (anche se non convivente).

Arresto obbligatorio in flagranza
È previsto l’arresto obbligatorio in caso di flagranza per reati di maltrattamento familiare e stalking. Ciò significa che le forze dell’ordine saranno obbligate al fermo di colui che viene sorpreso in un atto di violenza domestica o di stalking.

Allontanamento del coniuge violento da casa
Alle forze di polizia viene data la possibilità di buttare fuori di casa il coniuge (o compagno) violento se c’è un rischio per l’integrità fisica della donna. Viene così impedito a chi è violento in casa di avvicinarsi ai luoghi domestici. I destinatari di questo provvedimento potranno essere controllati attraverso il
braccialetto elettronico.

Querela irrevocabile
Una volta sporta querela per violenza e maltrattamenti, quella querela sarà irrevocabile. Si sottrae dunque la vittima al rischio di una nuova intimidazione tendente a farle ritirare la querela».
 

Corsia giudiziaria preferenziale
Con questo decreto, i tribunali potranno adottare delle corsie preferenziali per i processi per femminicidio e per maltrattamenti.

Patrocinio gratuito 
Per chi è vittima di stalking o maltrattamenti e non si può permettere un avvocato, è ora previsto il patrocinio legale gratuito.

Permesso di soggiorno alle vittime straniere
«Abbiamo deciso di concedere un permesso di soggiorno per motivi umanitari agli stranieri che subiscono violenze», ha spiegato Alfano.

Vittime informate sull’iter giudiziario
La vittima di violenza o maltrattamenti sarà costantemente informata sulla condizione giudiziaria del colpevole (se si trova in carcere o in libertà, se è stato condannato, ecc…). «Cerchiamo di correggere un punto di vulnerabilità del sistema normativo», ha spiegato il ministro dell’Interno. «Spesso la vittima non sapeva che fine aveva fatto il processo a carico dell’autore delle violenze. Ora la vittima sarà informata, ad esempio, della scarcerazione del denunciato».

Benedetta De Prisco