Giovanni Falcone, il coraggio di essere eroe.

Improvvisamente, l’inferno. Alle ore 17.56 di un caldo sabato di maggio, un’esplosione squarcia un tratto  di autostrada che collega l’aeroporto di Punta Raisi alla città di Palermo, all’altezza dell’ uscita di Capaci: cinque quintali di tritolo, una quantità spropositata, distruggono cento metri d’asfalto,  facendo letteralmente volare via le auto di passaggio. Ma come oggi ben si sa,  quell’esplosione devastante non avvenne per un errore fatale o per semplice imprudenza di alcuni malviventi: il botto di Capaci infatti era mirato ad uccidere una persona precisa,  Giovanni Falcone, il magistrato simbolo della lotta alla mafia, che proprio quel giorno avrebbe attraversato quest’ autostrada di ritorno da Roma. Purtroppo non fu l’unico a morire quel 23 maggio 1992: infatti per mano mafiosa persero la vita anche sua moglie Francesca Morvillo e tutta la sua scorta, composta da cinque persone. Volendo però raccontare la vita del giudice Falcone fino al suo attentato,  dovremmo partire dall’inizio: dalla sua infanzia. Facciamo allora un passo indietro. Nel quartiere arabo della Kalsa di Palermo, dove il piccolo Giovanni era nato, il 18 maggio 1939 e  cresciuto, esistevano per lui la scuola, l’Azione cattolica e pochi divertimenti. Il padre Arturo era un uomo austero: per lui non esistevano viaggi e villeggiatura. Anche la madre Luisa era, come diceva il giudice, «una donna energica e autoritaria». Giovanni Falcone aveva frequentato il liceo classico, poi l’Accademia militare di Livorno, quindi, dopo averci ripensato,  si iscrisse a Giurisprudenza e si  laureò a pieni voti nel 1964. Alla procura di Palermo,  il magistrato arrivò nel 1978, avviando una stretta collaborazione con i giudici Rocco Chinnici e Paolo Borsellino: insieme tratteranno centinaia di processi. Dopo l’assassinio di Chinnici, nel 1983, venne creata una struttura che, nel giro di pochi anni, rivoluzionerà la lotta alla criminalità organizzata: il pool antimafia. Giovanni Falcone era in possesso di una quantità gigantesca di informazioni: i mafiosi ne erano a conoscenza e per questo lo misero nel mirino, cominciando con l’assassinio di Beppe Montana e Ninni Cassarà, due poliziotti molto amici di Falcone, nell’ aosto del 1985. Quella stessa estate, per ragioni di sicurezza quindi, il governo impone ai giudici del pool ed alle loro famiglie di trasferirsi in totale segretezza al carcere dell’ Asinara. Falcone ci ha lasciato un testamento morale: legalità, umanità, diritti, coraggio ed amore. Ha insegnato a tutti che non bisogna arrendersi mai; ha insegnato agli altri il rispetto, il sacrificio, limitando la sua libertà. L’unica attività  che si concedeva della sua vita ormai blindata era il nuoto, rinunciando al mare e ripiegando sulla piscina comunale di Palermo. Anche in questo caso, con difficoltà: non poteva andarci nelle ore di punta. La scelta era quella di andare all’alba o la sera tardissimo, naturalmente in momenti sempre diversi. Eppure lui ha amato questa gente, la sua gente, ha amato la sua terra fatta di sole, di mare e d’arance. La sua terra fatta di affanni, di armi e di morti. Ha lasciato un vuoto e tanta amarezza per quel che ha rivelato la sua morte: il nostro Paese ostacolava i magistrati “scomodi”, proprio perché guardano ed adempiono ai loro doveri, senza piegarsi alla volontà di nessuno.

Lorenzo Cimbelli classe seconda A