L’ERESIA CONTEMPORANEA E L’ERETICO DISFUNZIONALE

“Miei cari fratelli, non dimenticatevi mai, quando sentirete vantare il progresso dei lumi, che la beffa più geniale del diavolo e avervi convinto che lui non esiste”

Baudelaire

 

Chi sarà poi l’eretico disfunzionale? E’ una domanda apparentemente tautologica. Appoggiandoci all’etimologia definiremmo l’eresia sulla base del suo significato originale di scelta, autodeterminazione. Quella di disfunzionale invece è una denominazione più criptica, ma anche in questo caso l’analisi etimologica può correrci in aiuto: in italiano il disfunzionale è colui che non adempie alle proprie incombenze mentre invece nel latino fungor, eseguire, da cui deriva funzionale, porta anche il significato di soffrire. Il disfunzionale perciò non è solo colui che non attua i propri uffici ma anche colui che non soffre.

Questo carattere apparentemente semplice riconduce così ad una problematica che vessa da decenni la dissidenza politica occidentale e che mette in discussione molti precetti dell’antagonismo “tradizionale”.

Ma chi è l’eretico moderno? E perche è così importante? E’ una figura apparentemente paradossale ma interessantissima perché sublima  due attributi apparentemente inconciliabili e contemporaneamente strettamente intersecati. Per iniziare ad abbozzare un soluzione ci è utile partire dal valore che assume il pensiero eterodosso ai giorni nostri.

Gran parte del dibattito economico-politico che si svolge oggigiorno è condotto su un tracciato ben definito, gli schemi sono fissi e la ricerca di soluzioni ai problemi viene discussa all’interno di un apparato rigido. Socialmente si può parlare delle necessità fattuali, quelle del mercato e del lavoro, dalle quali non si può prescindere in alcun modo, una cieca obbedienza al principio di realtà di Marcuse: una società che accresce la sicurezza materiale, la produttività e l’ordine sottostando a quell’assetto specifico di regole che ne massimizza la concretizzazione.

Il dibattito diventa quindi una discussione su come meglio regolare le manopole dell’economia o dei rapporti sociali, macchinari con i propri algoritmi, complessi ma comunque ben definiti e dei quali basta essere familiari, averne compreso le regole per poterli  poi utilizzare al meglio.

Per essere in grado di fare uso di simili strumenti, però, bisognà sottostare ad una serie di norme e valori che non sono propriamente universali ma funzionali al movimento dell’intero meccanismo. Non per questo però si evita di spacciare la necessità di un loro corretto funzionamento con con il fine stesso dell’agire dell’uomo inteso come specie, anzi.

Per rendere il tutto più efficiente si da atto alla costruzione di un “senso comune”, un assetto normalizzato di una corrente politica o filosofica. Il che ci rimanda alla definizione di eretico. Originariamente colui che sceglie, l’eretico è tramutato semanticamente in colui che pensa, in particolare nel dissidente. Questa traslazione di significato non è casuale se intesa nel suo contesto storico-religioso. Ma la carica esplosiva di una critica radicale al senso comune, che in passato ha messo sotto sopra intere nazioni, che potenziale ha nel mondo moderno?

Per rispondere indosserò brevemente le vesti raffazzonate di un sociologo Weberiano.

La democrazia moderna ha risolto, almeno in apparenza uno dei più grandi dilemmi politici della storia, quello della legittimità del potere politico.

Da un punto di vista sociologico, il problema è quello del fondamento del consenso e della disponibilità all’obbedienza su cui necessariamente poggia ogni istituzione statale che voglia perdurare nel tempo. Poiché, secondo la tesi ormai largamente condivisa della teoria elitistica, sono sempre i pochi a governare, non è plausibile ritenere che questi siano in ogni circostanza in grado di imporre con la forza il loro volere, ottenendo obbedienza. Dovunque un gruppo organizzato detiene il potere, confeziona tesi di legittimità per giustificarsi, consolidarsi e acquisire autorità; tale eventuale stabilizzazione permette poi che l’effettività del potere contribuisca a sua volta al processo di legittimazione.

Tramite un lento evolversi delle varie teorie politiche, fino ad arrivare alle moderne tesi sul contrattualismo di Locke e Hobbes, i presupposti della formazione di stati moderni e democratici cominciano e prendere forma. Già nel 1755 Rousseau aveva ipotizzato una forma di stato in cui gli individui cedono, con il contratto sociale, parte della propria autonomia, ma per riottenerla in quanto cittadini, ossia in quanto membri giridicamente uguali tra loro del corpo statale. Nasce in tal modo uno Stato democratico. Questo sottrae parte della responsibilità decisionale del potere politico all’apparato statale, facendola ricadere indirettamente sulla cittadinanza, attivamente artefice alla costruzione di tale stato. Evitando, formalmente, che il fato decidesse tra un buono e un cattivo sovrano o che la provvidenza salvaguardasse la gente comune dai capricci e dagli interessi della minoranza al potere, il popolo diventa fine e, sulla carta, arbiter delle istituzioni, che non necessitano di altre motivazioni per esistere se non la volontà stessa della cittadinanza.

Ciò ha reso de facto la democrazia un sistema in grado di dispiegare a suo favore un carica consistente di legittimità sia in campo morale che giuridico.

Inutile dire che molti degli stessi pensatori, teoreti del contrattualismo come Locke, furono anche gli iniziatori della dottrina politica liberale (E liberista, la distinzione fra liberalismo e liberismo è tipicamente italiana, sviluppatasi grazie al contributo di Croce e Gramsci ma non ha riscontro in altre culture mondiali) è evidente dunque che il piano ideologico da cui nasce il libero mercato è lo stesso in cui vennnero poste le basi  per la futura impostazione democratica occidentale.

Il pensiero liberale portatore di democrazia ha diffuso nell’attuale occidente l’impianto politico moderno che noi riconosciamo essenzialmente come nostro.

A questo punto dovreste già cominciare a sentire sfrigolare le ghiandole sessuali del vecchio Friedman ed i suoi Chicago boys.

Ma l’invecchiamento di un sistema politico ne modifica le dinamiche interne e i meccanismi attraverso cui trae legittimità cementando il cosenso, in quest’ottica la leggittimazione è fortemente legata alla creazione di un senso comune ordinariamente accettato. Non mi soffermerò sull’etimologia della parola consenso per tutelare la mia persona da un eventuale internamento coatto in una clinica psichiatrica per affetti da nevrosi ossessivo compulsiva, ma potete ben capire a cosa mi riferisco quando associo questi due concetti.

Ed è proprio nel senso comune che il processo morale prende piede, inconsciamente e lentamente, etichettando gli oggetti dell’attivo processo assolutorio del potere a dati di fatto della realtà e perciò giusti in quanto necessari, inevitabili. Per questo storici come Francis Fukuyama arrivano a parlare (poi pentendosene) di “Fine della Storia” come se questo fosse lo stadio finale delle cose, come se non ci fosse alternativa. Parafrasando la sopracitata frase di Baudelaire, che se vi suona familiare è tutta colpa di Kevin Spacey e dei Soliti sospetti, il tutto suonerebbe più o meno così: la beffa più grande del libero mercato globale è stata convincerci che non esiste alternativa.

Il tutto avviene su moltissimi piani dall’educazione alla lingua, Orwell ci salvi. La parola “liberal” tradotta con “progressista” ne è un candido esempio. La riappropriazione dell’immaginario del futuro non può che passare attraverso il linguaggio, dove l’alternativa venga presentata non come un compromesso tra più parti, ma come un ventaglio caotico di interpetazioni, non disciplinate e prive di fine perché mancano completamente il discorso, ovvero il bene attraverso  il mercato cioè il bene dell’uomo.

In questo sistema egemone ( intendo specificarlo, globale) fa capolino l’eretico criticando aspramente il sistema, le cose le persone ma viene subito posto di fronte ad una scelta, non zittito perché sarebbe illiberale, ma interpellato su questo: agire su un piano comune, cercare di risolvere i problemi del meccanismo che sono però i prodotti del meccanismo stesso, insiti nelle dinamiche dell’ingranaggio e rimanere quindi bloccato in un limbo contraddittorio o cadere nell’incomprensione perché il linguaggio che usa, la sua morale, la sua stessa logica sono così lontane dalla comprensione intuitiva che la gente ha delle cose. In quanto come ricordo, la legittimità passa per la logica per poi affermarsi nel inconscio, Freud direbbe il super-io.

Per questo i marxisti francesi del novecento come Derrida si sono rifugiati nel negare l’esistenza stessa di una realtà. Per non risultare incomprensibili hanno dovuto rendere il mondo incomprensibile, tramutando le prorprie rivendicazioni economiche in rivendicazioni sociali uccidendo, a mio parere l’essenza stessa di una proposta realmente alternativa allo status quo.

Quando oggi si parla di sinistra e destra, non si sta in realtà parlando di nient’altro che approcci sullo stesso spettro di modi d’intendere la realta, l’una reciproca negazione dell’altra ma sullo stesso piano, la postideologia, non è la morte delle ideologie è la morte di un ideologia che neghi radicalmente i modi, le espressioni, il linguaggio e diciamolo pure, le fondamenta stessa dell’altra.

L’eretico quindi si fa disfunzionale, perché pensa un mondo diverso ma in un mondo che non pensa, piuttosto elabora dati, pensieri tecnici su come migliorare sé stesso. Perciò non adempie al suo fine, il cambiamento, ma diventa mero pensatore della realtà che non può fare a meno di proporre. Si blocca al suo essere homo sapiens davanti ad un immensità di homini fabri che hanno rinunciato ha essere sapientes. Non agisce perché sarebbe pazzo, non agisce perché soffrirebbe.

 

 

Di Manuel Dallacasa

Fonte immagine: agetika.com