La macchia – Racconto

Capii che ero da un’altra parte. Forse ero sveglio, non più di là. Mi ci volle qualche secondo prima di rendermi conto di tutto. Ancora decisi di non aprire gli occhi, non so perché. Cercai di muovere le dita della mano, schiacciata nel sonno dalla pancia. Aprii e richiusi la mano per un paio di volte, cercando di far andar via quell’insopportabile sfrigolio. Poi appoggiai il palmo sul materasso. Niente. Iniziai a muovere le braccia lungo il letto, in cerca di qualcosa che mi facesse capire dov’ero. Non potevo aprire gli occhi, non volevo farlo. In quel momento avrei potuto sentire qualunque cosa, ogni rumore, ciascun suono, ma niente. Vedevo solo quella macchia nera. La conoscevo bene. Semplicemente una stanza nera, buia; senza nessuno che potesse accendere la luce; e forse era meglio così. Magari la luce avrebbe potuto mostrare ciò che nascondeva, ma in compenso avresti potuto vedere la verità, una bestia piena di odio, nascosta proprio nei più stretti meandri di quella macchia. Le persone avevano paura di lei; volevano accendere la luce della menzogna. Io a contrario, per qualche strano motivo, ne ero affascinato.
Riuscii a trovare il cuscino. Emisi un lento sospiro caldo, poi un brivido. Ecco, era inverno, o per lo meno faceva freddo allo stesso modo. Mi rigirai sbuffando verso il punto più lontano a cui potevo sperare di arrivare con la gamba, poi finalmente trovai il bordo. Sì, era un letto, come pensavo. Allora aprii gli occhi. “Ah, maledizione. Che cosa stavo sognando?” pensai.
La stanza era buia, non quanto la macchia, ma molto simile. Era la mia camera, il pavimento era freddo. Un altro brivido mi attraversò le gambe, dai piedi, fino ad arrivare ai fianchi. “Che cosa stavo sognando?” ripensai. A piedi nudi mi avvicinai ad un piccolo buco di luce, probabilmente sotto la porta. Non credo fosse mattina: le tende erano chiuse solo fino a metà e di Sole non ne vedevo. Il desiderio di tornare a letto era forte, avevo bisogno di rientrare in quel colorato mondo caldo, proprio sotto il piumone, che ormai era finito in terra, sotto i miei polpastrelli, che intanto tremavano; ma non avevo affatto sonno. Mentre aprivo la porta, quell’insopportabile scricchiolio mi pervase e ripensai alla mano, che ancora sfrigolava, come dei pop-corn in una padella. Cavolo. Una luce abbagliante mi abbracciò, proprio quando ormai la porta era spalancata, ma non mi diede noia. Poi un altro brivido.
“Che cosa stavo sognando?” bisbigliai infine, e richiusi le palpebre.

Edoardo Merlini – Classe 3E