La mia prima volta su due ruote – Racconto

Come sappiamo c’è sempre una prima volta per tutti no? Beh io sono qui apposta per raccontarla.
La vera domanda però è: la prima volta di cosa? Nel mio caso, la prima volta in cui sono salito su una bicicletta…
Se non sbaglio, la prima volta in cui sono riuscito nella tanto attesa impresa, è stata a quattro anni.
Da sempre ho impressa nella mia testa quella scena…
29 agosto 2008, era il giorno del mio quarto anno, ben 1461 giorni avevo ormai trascorso sulla Terra. Era giunto il momento di diventare qualcuno, o meglio di cercare di fare quel passo in più per diventare un bambino… grande. Quasi in un certo senso avevo imposto ai miei genitori di farmi come regalo una bicicletta nuova, non una qualunque, come ad esempio quei tricicli con quelle noiose rotelline dietro, ma una bella bicicletta raggiante di colori molto accesi e soprattutto con sole due ruote, una davanti e una dietro.
A pranzo, per festeggiare con i miei parenti il mio compleanno, ci siamo tutti ritrovati a casa di mia nonna. Ero tutto sulle spine all’idea di vedere faccia a faccia ciò che desideravo tanto, anzi tantissimo tempo. Per far si che ciò potesse accadere in maniera più rapida, mangiai in fretta e furia. Il riso che addirittura mi aveva preparato mia nonna, sparito in “quattro e quattrotto”, il pollo, spolverato, insalata idem.
Era giunto il momento… i miei genitori in salotto mi portarono un pacco enorme (per la mia vecchia piccola statura). Credetti fino all’ultimo che si trattasse della bicicletta ma allo scartare del regalo, la felicità che avevo stampata dalla mattina in faccia, si trasformò come dal giorno alla notte in un mare di lacrime. Quando vidi la casa di Topolino fare capolino tra la carta da imballaggio rimasi sconvolto. Il fatto è che credevo me la avessero regalata e quando ho visto che non era ciò che desideravo, ci sono un po’ rimasto male, ecco…
Quel compleanno era destinato ad essere uno dei più deludenti di tutta la mia vita fino a quel momento (capirai, a quattro anni che vuoi che sia, avevo ancora una vita davanti). Oramai non ci speravo più, anzi attendevo con ansia che quel lunghissimo e bruttissimo giorno finisse. Quel soleggiato e afoso pomeriggio non vi dico che cosa è stato. Le ore erano interminabili e l’aria si faceva man mano che trascorreva il tempo sempre più calorosa.
Decisi di addormentarmi per far scorrere un’ora senza che me ne accorgessi e così feci.
Verso le sette il Sole cominciava ad andare con tutta la sua lentezza a letto per dar spazio alla luminosa Luna. Per evitare di buttare via gli avanzi, la mia famiglia ed io dovemmo ritornare dalla nonna. Questa volta però mangiai con estrema lentezza, la stessa fetta di pollo si impastava con la saliva un sacco di volte, non riuscivo proprio ad ingoiare.
Finito di mangiare, siamo scesi come di consueto giù nel piccolo piazzale sotto casa della mia nonna, lì mi diverto ad assistere alle avvincenti partite di briscola tra vecchini, compresi i miei nonni.
Una volta finito di scendere le scale, aperto il portone, il paradiso tornò a splendere nella mia faccia. Sembrava di stare in uno di quei film che non appena trovano una cosa sorprendente, si vede la luce dietro e gli angeli cantare, ecco, era un po’ la stessa sensazione. Non ci potevo credere.
Era lì, ferma, immobile, raggiante di un colore rosso fuoco, nuova di pacca, pronta per essere usata. Senza perdere un secondo di più presi violentemente la mano del mio nonno e lo costrinsi a non giocare a giocare a carte per insegnarmi ad andare sul quel biciclo che insistentemente continuava a perseguitarmi mentalmente. “Provami!” mi diceva…
Per prima cosa mi aiutò a montare in sella; posizionato, mi mise il casco celeste con dei polipi violetti disegnati sopra. Sistemato tutto, mi disse che dovevo intanto posizionare le gambe sui pedali e iniziare a muoverle in modo che le ruote iniziassero a girare.

Una volta partito, iniziai a sentire l’equilibrio sbilanciarsi e mi salì un po’ di ansia dentro. Per fortuna dietro a sostenermi c’era mio nonno che, con le forze disponibili, cercava di tenermi in equilibrio. Una volta che ebbi fatto due giri con l’ausilio di mio nonno, quest’ultimo lasciò la presa. Io, impaurito, persi l’equilibrio e caddi malamente. Nella caduta mi sbucciai leggermente il gomito e come ogni bambino di quattro anni che si rispetti, mi misi a piagnucolare come un poppante.
Il tempo di far scendere due lacrime e già mi ero rimesso in piedi pronto per rimontare in sella.
Prima di andare a casa volevo imparare ad andarci: costi quel che costi, io dovevo riuscirci. Provai a pedalare nuovamente con l’aiuto del babbo della mia mamma, feci due giri, il nonno mi lasciò ma caddi di nuovo. Tentai ancora una decina di volte quando, alla tredicesima o quattordicesima volta, non ricordo bene, il nonno lasciò la presa e senza nemmeno accorgermene, continuai a pedalare da solo per circa un minuto poi dissi: “Nonno, prova a lasciarmi!”. Sentii che non mi rispose, allora lo ripetei un’altra volta, ma nulla. Poi, mentre pedalavo, mi girai di scatto e vidi che ad reggermi non c’era nessuno. Fu così che mi fermai.
In lontananza vedevo tutti i miei parenti che mi applaudivano e mi facevano un sacco di feste. Il sorriso mi arrivava fino alle orecchie. Sapevo condurre una bicicletta. Riuscivo a pedalare.
Ero riuscito nell’intento e quello che sembrava essere un compleanno da dimenticare si è trasformato in uno dei compleanni più memorabili della mia vita!
Niccolò De Luca – Classe 3C