L’ego frangibile – Racconto

Era figlio delle brezze marine, portato su un’isola dimenticata dal tempo. Viveva nella quiete delle foglie tropicali, dove lo scricchiolio delle cortecce si inerpicava nel silenzio. Anche qua si erano perse l’onestà e la purezza primitiva nelle quali convivevano le tribù.
Fuori l’elegante e raffinato aspetto del drago di Komodo, dentro la viscida vanità e l’egoismo che lo rendevano sgradevole, eppure temuto e quasi ammirato. Poteva godere dell’odio e della gelosia di tutti gli altri animali.
Nel suo fragile castello di carte che si era costruito, era convinto di essere l’unico, l’unico perfetto e maledettamente geniale, ma la sua ottusità e fierezza gli impedivano di vedere oltre, di fuggire dagli stretti confini del sabbioso suolo natio. Perché su altre isole identiche, separate dallo stesso mare sibilante ed indifferente, c’erano altri come lui, altri draghi senza fiamme tra i denti; tutti con lo stesso problema legato all’uomo, che come una nuvola nera di un’alta ciminiera incombeva su di loro. Portava via la loro terra e li razziava, distruggendoli sistematicamente con svelta atrocità.
Marte non si sarebbe mai immaginato di essere al centro di un inspiegabile e praticamente inutile progetto di estinzione.
Abitava nel suo mondo, finto, nel quale era l’indiscusso tiranno. Tutta un’esistenza infondata, che era pericolante e vacillava sul burrone della realtà, ma Marte non ci faceva caso, e non voleva farci caso, ignorava ogni forma esterna che avrebbe potuto distruggere la sua creazione.
Era sostenuto dal timore, dai sussurri, ma soprattutto da sottili paletti di cristallo, pronti a spezzarsi e farlo rovinare.
Marte aveva ottenuto il potere con l’esuberanza, imponendosi e sfruttando la sua grandezza. Non ci fu tartaruga, uccello o pesce che osò dargli contro e, nell’omertà, Marte proseguì la sua ascesa, diventando dopo poco tempo il re di un’isola inesistente, di un impero che finiva ed iniziava col mare, e nel mezzo cascate nascoste, giungle nere e basse rocce consumate dal tempo.
Le giornate proseguivano lente, infernali, e schiacciavano gli animali come una macina fa col grano.
Questo almeno fino al più veloce di questi giorni: sul filo viola dell’orizzonte brillava davanti al sole nascente una barca. Marte si sdraiò sulla spiaggia, scrutandola con scetticismo. Ogni volta che si avvicinava diveniva più nitida: non era più una barca, ma una nave, grande, di ferro, che sputava lingue di vapore verso il cielo. Marte non si mosse, era pronto a scacciare gli invasori. L’autostima lo tradì: un’ombra fu l’ultima cosa che vide, poi il buio. La realtà lo scoprì della coperta della fierezza: ora era solo fragilità.
Federico Spagna – Classe 3C