Lei – Racconto

Era una mattina piovosa, pioggia torrenziale.
Stavo correndo.
Ero in ritardo.
L’autobus era appena partito, come al solito.
Già le 8:00, ovviamente la campanella stava suonando, ma io non la sentivo.
Ero troppo lontana.
Era una routine quotidiana, ogni giorno la stessa storia. Anche oggi sarebbe andata così, o almeno così credevo. Presi l’autobus successivo: era pieno di gente che conoscevo, ma non erano ragazzi, no, loro erano già in classe con i libri aperti sui banchi.
Ad un certo punto la vidi.
Era inzuppata di pioggia, proprio come me.
Aveva i capelli tutti arruffati e gli occhi pieni di lacrime: sembrava stesse per piangere, anzi, sembrava che avesse già pianto, chissà perché…
Indossava un’impermeabile giallo e delle galosce, anch’esse gialle.
L’autobus le passò davanti e lei scomparse.
L’avevo vista solo io? Forse sì… forse no.
Detti la colpa alla stanchezza, ero veramente stanca.
La notte precedente ero rimasta sveglia fino a tardi per finire i compiti, troppi.
Quando l’autobus si fermò erano le 8:10, dovevo sbrigarmi.
Ma, appena entrai nella scuola, udii uno strano silenzio: non era il silenzio a cui ero abituata, era un vero silenzio di tomba. Man mano che avanzavo diveniva sempre più inquietante.
Aprii la porta dell’aula e vidi… una stanza vuota!
Poi mi ricordai che alla prima ora avevamo scienze. Corsi verso l’aula, aprii la porta ed entrai.
La professoressa mi brontolò, come sempre, e mi misi a sedere in silenzio.
Tutto bene fino alla prima campanella: finalmente ricreazione!
Stetti tutto il tempo in classe a chiacchierare del più e del meno con la mia amica Katie dicendole dello strano fatto accaduto quella mattina, lei mi disse di non preoccuparmi e io le detti ascolto, senza pensarci un altro secondo.
L’idea di scoprire di più su quella strana ragazza mi aveva ormai catturato, però. Dovevo riuscire a capire cosa stava succedendo, anzi, lo volevo.
Ero appena tornata a casa quando sentii mia sorella minore Cindy.
Stava urlando a squarciagola, non salutai nessuno ma corsi direttamente da lei.
Aveva rovesciato per terra il succo che teneva in mano per merenda, non capii subito il perché ma poi, mi disse:
“Ho visto… ho visto una ragazza in ca… in camera mia!”
Non la guardai male neanche per un secondo, anzi le chiesi:
“Cosa stava facendo?”
Non mi rispose subito, era ancora terrorizzata.
“Cindy?”
“Sì, scusa. Non ho visto precisamente cosa stava facendo, ma sembrava che stesse cercando qualcosa… credo…”
“Dove cercava?” chiesi io
“Nel mio armadio e sul mio comodino, ma perché me lo chiedi?”
“No, niente. Anche io stamani ho visto una strana ragazza…” le dissi, descrivendole come era fatta, un identikit che corrispondeva alla perfezione alla ragazza che lei aveva appena visto.
Eravamo spaventate ma con uno sguardo d’intesa ci siamo lanciate un messaggio: dovevamo capire cosa stava succedendo.
Quella notte non riuscivo a dormire, ero troppo agitata, non riuscivo a smettere di pensare a quella ragazza.
Decisi di alzarmi, accendere la luce e bere un bicchiere d’acqua per scordarmi di quella misteriosa ragazza.
Mentre tornavo in camera mia per rimettermi a letto, udii uno strano lamento provenire dalla mia stanza, man mano che mi avvicinavo si faceva sempre più forte.
Aprii la porta ma prima di entrare vidi riflessa sullo specchio la faccia inquetante di quella ragazza che mi fissava.
Non avevo il coraggio di entrare, feci un passo indietro e sentii che qualcuno stava aprendo la finestra di camera mia… forse era quella ragazza, o forse no.
Non capivo cosa volesse da me e da mia sorella, ero certa di una cosa, però, era successo qualcosa che io non sapevo e che dovevo assolutamente scoprire.
Entrai in camera e trovai la finestra spalancata, sapevo che quella ragazza era scappata, ma cosa ci faceva in camera mia?
La mattina seguente non mi svegliai nel mio letto, bensì sul divano, anche se non sapevo come ci ero finita.
Erano le 7:50 e ancora non mi ero preparata, come al solito, dopo dieci minuti non ero ancora pronta e sapevo di essere in ritardo.
Partii di casa alle 8:00, anche il secondo autobus era partito.
Decisi di andare a piedi: la scuola poteva sembrare lontana ma correndo sarei arrivata al mio solito orario.
Ad un certo punto comparse dietro di me la ragazza inquietante e… mi sussurrò all’orecchio:
“Ci incontriamo di nuovo, Elizabeth”
Ero terrorizzata, come faceva a conoscere il mio nome?
Presa dalla paura, iniziai a correre più veloce di prima, ma senza una meta.
Dopo mezz’ora mi fermai dalla stanchezza e vidi che ero finita in un… cimitero della mia città. Non sapevo nemmeno che esistesse un cimitero nella mia città, ma forse ne ero uscita fuori senza rendermene conto.
Iniziai a guardarmi attorno ma non riuscivo a vedere nulla per colpa della fitta nebbia che si trovava in quel luogo spaventoso.
Non vedevo altro che tombe e fiori, all’improvviso mi ritrovai davanti quella ragazza che mi stava fissando, ma stavolta aveva un coltello in mano…
Mi disse:
“Non voglio farti del male, cara mia”
Scappai via di corsa e lei mi inseguì, avevo corso circa a un isolato di distanza da lì. Ero uscita da quel cimitero sana e salva; la ragazza era ancora dietro di me e anche lei stava correndo ma ad un certo punto si fermò.
Sembrava che davanti a lei ci fosse un muro che io non vedevo, mi ritrovai in una città di cui non sapevo il nome, e non sapevo nemmeno dove fosse finita mia sorella Cindy.
Guardai l’orologio: erano le 14:15 a quest’ora sarei già dovuta uscire da scuola anzi, avrei dovuto essere già tornata a casa.
Quella ragazza era scomparsa, decisi così di tornare a casa da mio papà e da mia sorella.
Dopo un lungo viaggio riuscii a trovare la strada di casa e a rientrare.
Trovai Cindy a terra: era svenuta.
Lei mi aveva preceduta, chiamai mio papà da lavoro e i suoi colleghi dissero che non era venuto a lavoro ed aveva fatto un incidente con la macchina, era ricoverato in ospedale.
Ero disperata, mi buttai a terra e iniziai a piangere senza smettere, senza speranza, finché… beh, mi svegliai, col volto rigato dalle lacrime… Per fortuna era stato solo un brutto sogno.
Era una mattina piovosa, pioggia torrenziale.
E io ero in ritardo come sempre.

Sara Sallei & Elena Gjana – Classe 1A