HELP! – Racconto

La stanza in cui mise piede per l’ennesima volta Paolo quel freddo pomeriggio d’inverno era proprio come se la doveva immaginare: una montagna di scartoffie miste a calzini spaiati puzzolenti e un letto disfatto vicino a un comodino in disordine. Era chiaro: la zia di Giovanni non era ancora tornata da fuori, sennò chissà che urla gli avrebbe fatto. E che bastonate. Finiva sempre così (e Paolo se ne rammaricava spesso): Giovanni aveva dei guizzi di genio artistici e musicali immensi, eppure finiva sempre con un bernoccolo in testa. La zia, Domenica, non sopportava la sua aria ribelle: a tratti, strafottente, a tratti affascinante (che tanto le ricordava quella della sorella defunta).
Per questo lo ostacolava in tutto quello che più scaldava il cuore al passionale Giovanni: l’arte, la vita vera, ma soprattutto la musica.
Paolo, dal canto suo, non poteva farci proprio niente, eppure non poteva fare a meno di detestare anche lui lazia del suo migliore amico.
“Fortunatamente”, pensò, “oggi è assente”.
Paolo cercò di farsi strada tra l’ammasso di camicie e jeans sparsi per terra, come un acrobata.
“Giovanni, Giovanni! Ci sei?”, urlò a gran voce.
“Sssssssssignorsì signore”, la voce rauca, tagliente ma anche ironica del suo amico risuonò dal bagno: si stava facendo la barba .
“Dì un po’, la zia Mimi è assente?” gli fece il suo amico.
“Ma come parli? Sembri il mio professore di matematica!” Giovanni scoppiò in una risata sganasciata. Si diedero pacche reciproche sulla spalla in segno di scherno.
“Già, sono troppo british e troppo gentleman, anche con un buzzurro come te!”, rispose scherzando Paolo.
Giovanni sorrise.
“Che sei venuto a fare?”, disse poi a Paolo, dopo essersi fissato un po’ la faccia glabra allo specchio.
“Mah, niente di che”, tagliò corto Paolo.
Giovanni si girò di scatto e si mise a fissarlo con aria interrogativa.
“In realtà”, proseguì Paolo, sentendosi intimorito dal sopracciglio del suo amico.
“In realtà, ecco”, cercò di dire mentre guardava il soffitto “io volevo scrivere musica”.
“…con te”, aggiunse poco dopo, abbassando la testa e guardando dritto negli occhi scintillanti Giovanni.
A Giovanni erano iniziati a brillare gli occhi per l’emozione. Fece segno di sì col capo e poi non disse nulla.

Quel pomeriggio d’inverno i due amici si misero all’opera.
“Sono le quattro del pomeriggio”, esordì Giovanni trionfante guardandosi l’orologio al polso.
“Abbiamo tre ore e venti esatte soltanto prima che il generale faccia ritorno qui”, disse in tono militarmente solenne. Paolo si mise a sogghignare: era troppo simpatico il suo amico.
“Riusciremo a farcela?”, si domandavano dentro di sé felici e tristi al tempo stesso.

Quel pomeriggio d’inverno i due amici presero per la prima volta in mano insieme una chitarra: certo, avevano già suonato nel cortile della chiesa locale ma non avevano mai composto qualcosa di veramente personale e unico.
“Come si scrive una canzone, Paolo?”, chiese Giovanni, dopo aver strimpellato un po’ a caso melodie senza senso.
“Domanda alquanto difficile, amico. Perché me lo chiedi? Sono inesperto quanto te…” rispose Paolo, dondolandosi sulla vecchia sedia a dondolo crepitante della zia.
Ci furono minuti di silenzio…

“Forse ho trovato!”, aggiunse Paolo dopo aver meditato un po’, forse assorto dal rumore della pioggia e dei tuoni di fuori.
“È sufficiente parlare di sé!” disse sicuro, sorridendo, con l’aria di chi la sapesse lunga: gli sembrava di essere un giovane Cristoforo Colombo e di aver scoperto davvero un nuovo mondo.
Nonostante fossero così diversi di carattere, a Giovanni quest’idea di voler parlare di sé in una canzone potenzialmente universale piacque tantissimo: lui era sempre stato un tipo di gran lunga emotivo e soggettivista.
“Se dovessi parlare di me, allora, Sir, userei una sola parola… vuole sapere quale?”
“Niente parolacce”, avvertì divertito Paolo.
“A parte quelle (che sono al secondo posto)”, specificò soffocato dalle risate Giovanni. “Io userei questa parola: AIUTO!”, aggiunse, ricompostosi. Poi precisò: “Con tanto di punto esclamativo, come se uno stesse urlando chiedendo aiuto, capisci?”
Entrambi smisero di ridere di botto. Un pensoso velo di serietà si stese sui due giocosi ragazzi.
“AIUTAMI se tu puoi, mi sento giù, e apprezzo eccome il tuo starmi vicino…”, iniziò a canticchiare una melodia unita a tali parole. “Una roba del genere, ecco. Secondo te potrebbe andare?
Paolo aveva le lacrime agli occhi, ma si trattenne: il suo amico lo aveva letto nel pensiero. Nonostante cercasse altre vie di fuga, anche Paolo si sentiva sempre solo e triste senza la madre e in una scuola che non lo elettrizzava per niente. Anche Paolo sentiva spessissimo dentro di sé un urlo che gridava: “AIUTO!”
Al vederlo nonostante tutto così sorridente e sereno, Giovanni lo rimbrottò bonariamente.
“Che hai visto oh? Lady Madonna?” si mise a motteggiarlo per l’ennesima volta bonariamente.
“No”, rispose Paolo, strofinandosi gli occhi in quello che doveva sembrare un falso sbadiglio. “Sono solo felice”.
“Perché?”, Giovanni continuava a non capire.
“Perché anch’io mi sento giù come te, anch’io grido AIUTO. “
Giovanni lo guardò stupito ma addolcito e comprensivo al tempo stesso.
“E apprezzo il tuo starmi vicino, amico”, aggiunsero in coro, cantando.
Sorridevano.

Quel pomeriggio d’inverno Giovanni e Paolo buttarono giù le prime note di quella che sarebbe diventata forse la più famosa canzone del loro più famoso album: “HELP!” (sì, erano due scarafaggi inglesi capelluti e non poco favolosi).
Quel pomeriggio di libertà e di musica e di sincerità è riuscito a salvare la vita a due amici. Ma ha salvato anche la vita a tutti coloro che, invece di gridare solo e soltanto AIUTO! si sono aggrappati alla loro musica rigenerante.
Perché nessuno più dimenticherà il grido di aiuto misto a speranza di due ragazzi che, come molti di noi, nonostante il grigio del dolore, hanno scelto di seguire sempre il sole.

Invenzione letteraria ispirata al mitico rapporto tra John Lennon e Paul McCartney, leaders dei Beatles ed autori della maggior parte delle canzoni dei Fab Four, tra cui la loro famosa hit “Help!” (1965).

Chiara Donati
Liceo Classico “Galileo” di Firenze – Classe 5D