Perdersi è un attimo – Racconto

Non lo trovavo, non c’era, ne avevo bisogno. Non tolleravo di non sapere dove fosse. Cercavo quel portachiavi da mezz’ora ormai e non ricordavo assolutamente dove l’avevo messo. Sarei arrivato in ritardo, ma poco importava, perché quello che avevo perso era il mio portafortuna e semplicemente non riuscivo a fare nulla senza. Feci un altro controllo veloce per la casa, più per cercare di ricordare che per frugare in giro, ma, mentre camminavo nervosamente, captai con la coda dell’occhio un dettaglio che non quadrava. In salotto c’era una bambina. Una bambina che non conoscevo, che non avevo visto in vita mia e che sicuramente non doveva essere qui.
– Chi sei? – chiesi sovrappensiero, dovevo trovare il mio portachiavi prima di arrivare definitivamente in ritardo, mica potevo perdere tempo dietro ad una bambina che era entrata di nascosto in casa mia. Forse lo aveva preso lei… chissà se aveva rubato anche delle collane della mamma. Sarebbe impazzita…
– So che hai perso qualcosa. Io so dov’è. Posso aiutarti – disse, ma come faceva a saperlo? L’aveva sicuramente preso lei.
– Ridammi il portachiavi! – dissi, avvicinandomi bruscamente a lei. Non feci in tempo a fermarla che si mise a correre lungo il corridoio, fino ad una porta, e vi entrò. Io la seguii senza pensarci un attimo, ma mi fermai sulla soglia, conscio che qualcosa non andava: le porte che si affacciavano al corridoio erano tre, però la piccola era entrata in una quarta stanza che io non avevo mai visto in vita mia. L’ambiente che mi si parò davanti era ampio, con alti soffitti da cattedrale, ed era completamente pieno di cose accatastate che formavano mucchi spaventosamente grossi e pericolanti.
– Che posto è questo?! –
Non poteva essere lì da prima, non potevo non aver mai notato quella porta, ma d’altro canto le stanze non appaiono così dal nulla… che cosa stava succedendo?! Quella bambina era decisamente inquietante ora, mentre volteggiava tra le anticaglie, come se fosse un parco giochi pronto per lei. Stavo impazzendo. Chi era? Non l’avevo mai vista prima, nè avevo idea di cosa volesse da me.
– Posso aiutarti – ripetè con un sorriso fin troppo dolce.
– Intendi a cercare il portachiavi? –
– Questa è la stanza delle cose perdute, la casa dei ricordi dimenticati, dove vanno tutte le cose che non riesci più a trovare, i pensieri che spariscono dalla punta della lingua, tutte quelle cose che potevano essere e non saranno mai… certo che puoi trovare qualcosa che hai perso, sciocco!- continuava a non rispondere direttamente alle domande che gli ponevo, era alquanto irritante. Sbuffai, indeciso su cosa fare, quel posto mi dava una strana sensazione, e il solo varcarne la soglia mi metteva a disagio.
– Entra, non mordo mica. Avrai il coraggio di trovare ciò che non è più e di uscire illeso? – rise – Sto scherzando, mica puoi rimanere intrappolato qui per sempre! In ogni caso ti guiderò io. Non preoccuparti – disse porgendomi la mano, con la testa inclinata e uno sguardo divertito e io ignorai la vocina che dal retro del cervello mi urlava di voltarmi e di scappare via a gambe levate, gliela strinsi, invece, ed entrai definitivamente nel palazzo delle cose perdute.
Mi guidò per quello che mi sembrò un tempo infinito tra i meandri di quel labirinto fatto di ricordi, mentre mi raccontava la storia di questo o di quello. Io le facevo domande su tutto, era interessante sentirla parlare, sembrava che avesse vissuto milioni di vite diverse, una più fantastica dell’altra. Presto mi rilassai, dimenticando la stranezza della situazione. Ogni problema o pensiero, anche il portachiavi, che era il motivo per cui ero entrato, sembrava essere diventato solo un ricordo malinconico e sfocato.
– E quella cos’è? – chiesi curioso ad un certo punto, indicando una sfera grande all’incirca quanto il mio pugno. Sembrava piena di fumo colorato che cambiava in continazione, era rilassante da guardare, l’avrei fissata per ore senza mai annoiarmi.
La bambina rise battendo le mani: – Oh, quella è una delle cose più affascinanti di questa stanza: è qualcosa che poteva essere… ma non sarà mai! Sai, è qualcosa, anzi qualcuno, che si è perso, lasciandosi dietro una lunga scia di “se”, di potenzialità mai sfruttate, di scopi mai raggiunti, è una storia mai raccontata -. Sorrise enigmatica, continuando a saltellare e volteggiare per la stanza. Sembrava il primo fiocco di neve di una bufera, piccolo e innocente nel suo vestito bianco, ma allo stesso tempo era seguita dall’incertezza e dalla sensazione di inquietudine di quando si aspetta una terribile catastrofe.
– Cosa intendi con “qualcuno”? Chi si è perso? – odiavo che parlasse per indovinelli, ero stanco e non volevo pensare a scioglierli. Quella stanza era così calda e accogliente. La nebbia mi cullava, sussurrandomi di sdraiarmi e riposare fino al giorno dopo.
– Oh, sei tu, sciocchino, tu ti sei perso! – rispose la bimba, facendo una giravolta e sedendosi su una poltrona. Come si poteva perdere una poltrona?!
– Cosa dici, io so perfettamente dove sono, questa è casa mia, da là si arriva al mio salotto e…- le parole mi morirono in bocca, la porta da cui eravamo entrati non era più lì. Mi guardai intorno spaesato, le palperbre sempre più pesanti mentre mi costringevo a rimanere sveglio.
– Oh, tesoro, non sei più a casa tua, sei nel palazzo delle cose perdute ora: non puoi tornare. Nessuno torna a casa da qui, se riesci a trovare l’entrata vuol dire che sei perso, perso, perso… proprio come me! – mi spiegò lasciandosi andare in una risatina gorgogliante e infantile che mi mise i brividi. – Possiamo essere persi insieme se ti va, se non sei troppo stanco…-
Al mio cervello annebbiato dalla stanchezza servì qualche secondo per capire cosa veramente significavano quelle parole. Come, perso? Sarei rimasto lì… per l’eternità?
Mi guardai intorno, la testa sempre più pesante, cercando di trovare una via d’uscita, ma niente: la casa dei ricordi era sigillata. Non era possibile, avevo solo quindici anni, non mi ero mai innamorato, non ero mai stato ad un concerto, non avevo mai visto un delfino… c’erano tante cose che volevo vedere, tanti posti in cui andare, invece era tutto finito. Non era vero. Non poteva essere vero, mi ripetei allo sfinimento, indeciso se credere che fosse un sogno o fosse uno scherzo; i miei amici sarebbero spuntati da dietro quella grossa tela nell’angolo da un momento all’altro, ridendo. Eppure tutta questa situazione era troppo assurda per provenire dalla mente di uno dei miei amici. Mi lasciai scivolare a terra, la schiena contro al muro. Avevo sonno. Avevo tanto sonno. Sbadigliai sonoramente e mi strofinai una guancia striata di lacrime. La bambina, che fino a quel momento era rimasta in disparte, osservando la scena come se fosse stata la cosa più esilarante del mondo, mi si avvicinò e mi posò un bacio sulla testa.
– Oh, poverino, sei stanco, vero? Sei tanto, tanto stanco, ho ragione? – mi chiese, e io annuii debolmente, il sonno mi stava sopraffacendo all’improvviso, non riuscivo pensare, volevo solo dormire.
– Sì, sì, senti le palpebre che ti si chiudono, vuoi dormire? Allora dormi, dormi, dormi. Dormi e sogna la tua vita, cosa sarebbe potuto succedere: saresti diventato famoso, ti saresti sposato, saresti stato felice, o forse no! Chi lo sa… tanto non succederà più, mai più… – la sua voce mi cullò nell’oblio, l’ultima immagine che vidi fu il piccolo portachiavi che scintillava nella sua mano, beffandosi di me, che mi ero perso nel palazzo delle cose perdute.
Alice Mattolini
Liceo Classico Galileo di Firenze – Classe 2B