Primo libro – Racconto

Era abbandonato sul mio comodino ormai da qualche mese. Ma d’altro canto era normale per un bambino di quell’età avere una reazione del genere.
Sapevo a malapena come funzionasse: avevo visto mia madre farlo un po’ di volte, ma solo poche perché lei leggeva solo tardi e io ero già a letto.
Quanto a mio padre, l’ unica cosa che leggeva era il giornale, anzi, il giornale del giorno prima: lo andava a prendere di pomeriggio ma poi lo leggeva solo la mattina dopo, quando le notizie le aveva già viste su tutti i telegiornali. In ogni caso io non mi ero mai avvicinato a un libro aperto in vita mia. Molti bambini guardavano le figure, gli piacevano i colori o che so io, ecco, io non ne avevo mai aperto uno. Ovviamente le storie raccontate dalla mamma ci sono sempre state, le prendeva da quel grosso tomo pieno di fiabe che, come mi hanno raccontato, mi avevano regalato per il mio battesimo.
Ma stavo per incominciare la scuola elementare. Aveva commentato così quell’incombente evento la nonna Giovanna, donna di scienza, ex professoressa di matematica, per la quale tutta la famiglia aveva un rispetto sconfinato a tal punto da prender per vero qualunque cosa uscisse dalla sua bocca: “Chi va a scuola deve saper già leggere, così sarà per sempre un passo avanti a tutti: Giovanni, devi imparare a leggere”.
Coincidente con questa affermazione è arrivato puntuale come regalo del mio compleanno un libro e l’estorsione della promessa che avrei dovuto leggerlo prima dell’inizio della prima elementare. Ho sempre pensato che mia nonna sopravvalutasse un po’ i suoi nipoti e in generale tutti i bambini che si avvicinassero alla mia età, e quel giorno ne ho avuto la conferma. Mia nonna non mi regalò un libro di quelli che di solito si danno ai bambini per farli imparare a leggere, mia nonna mi regalò nientepopodimeno che Il Corsaro Nero, celebre romanzo di avventura di Emilio Salgari, un tomo di cinquecento pagine senza neanche una figura. Era un malloppone con una copertina rigida, completamente nero. Davanti il titolo in stampatello dorato era l’unico tipo di decorazione. Dietro una grande foto di quello che supponevo fosse un sorridente Emilio Salgari occupava tutta la copertina.
Ho detto sorridente? Mi correggo: non era un sorriso, nella mia testa era quasi un ghigno, tutto ciò mi sembrava inspiegabilmente terrificante. Ovviamente il mio primo impulso non è stato quello di fiondarmici sopra consumandolo in una settimana come avrebbe desiderato mia nonna: sapevo leggere a malapena e con fatica. Quindi ciò che ho fatto è stato abbandonare il libro sul mio comodino provando a non pensarci. Ma ogni volta che entravo in camera e ero costretto a passare davanti a quel maledetto comodino, il mio sguardo incrociava per un momento quello del famoso scrittore veronese. All’improvviso la sua faccia si trasformava in quella di mia nonna e i sensi di colpa mi assalivano, a causa della promessa che non stavo rispettando e io iniziavo a sudare freddo: nessuno mai disobbediva a mia nonna, nessun nipote aveva mai osato deluderla, e io rischiavo di essere il primo.
E poi c’era anche la paura di non riuscire a stare al passo con i miei compagni di classe, come aveva avvertito la patriarca della famiglia. Ma ogni volta riuscivo a decidere di aspettare promettendomi che avrei iniziato la settimana seguente. Dopo un po’ di mesi la situazione era diventata insostenibile, vivevo nella paura di quel libro tanto che avevo iniziato a giocare in salotto per non essere costretto a guardarlo, perché sapevo che appena fossi entrato in camera mia il mio sguardo sarebbe caduto involontariamente sulla foto di Salgari. Non potevo neanche spostarlo: già per me era difficile guardarlo, figuratevi toccarlo: manco a pensarci.

Era abbandonato sul mio comodino ormai da qualche mese, il mio primo anno di scuola elementare stava per iniziare e la mia promessa stava per infrangersi. In quei mesi in effetti ero diventato più confidente con la lettura, mi insegnava ovviamente la nonna Giovanna, che tanto teneva alla mia istruzione. Ogni volta che ci vedevamo mi chiedeva come procedesse la lettura del romanzo di Salgari e io, non potendo dirle di certo la verità, le mentivo dicendo che mi appassionava moltissimo anche se lo trovavo un pochetto difficile. A ciò lei rispondeva con una delle sue frasi che sarebbero dovute sembrare sagge, ma che adesso mi accorgo essere cavolate: “Bisogna imparare le cose difficili, così quelle normali ci sembreranno semplici”.
Era arrivato il momento di leggere quel libro, se non lo avessi fatto probabilmente la nonna mi avrebbe esiliato dalla famiglia escludendomi per sempre dalle sue preghiere mattutine.
Un giorno presi quel Libro abbandonato sul mio comodino ormai da qualche mese (non fu semplice perché la copertina si era fusa grazie al caldo dell’estate con la vernice e il libro si era così incollato al ripiano), lo aprii e semplicemente iniziai a leggerlo.
Quale fu il motivo che mi spinse a iniziarlo? Non lo so, probabilmente la paura di infrangere la promessa, o forse semplice pigrizia, solo una cosa è sicura: quel giorno capii quanto fosse semplice iniziare a leggere, quanto era stata insensata la mia avversione verso quel libro, e infatti un mese dopo, avendo letto l’ultima parola dell’epilogo capii anche che sarebbe stato impossibile smettere di farlo.
Giovanni D’Elia
Liceo Classico Galileo di Firenze – Classe 3C