Storia di un taccuino – Racconto

Era una gelida sera d’estate, una sera diversa dalle solite nottate calde e afose di Lyetown. Livia camminava da sola per le strade scarsamente illuminate con un solo obiettivo nella testa: capire qual era il suo posto in questo mondo assurdo di cui non capiva il senso. Era una ragazza di circa sedici anni, assai determinata, brillante, carismatica, socievole e modesta. Era una di quelle ragazze che tutti stimavano e volevano avere attorno, era una compagnia piacevole quella di Livia. Tutti i suoi amici e compagni la descrivevano come una persona di cui non si poteva fare a meno, essenziale, ma lei non si riteneva tale. Era da un po’ di tempo che Livia aveva iniziato a chiedersi cosa avrebbe fatto dopo quei cinque anni di liceo classico, come sarebbe stata la sua vita dopo l’università, chi era lei veramente e cosa amava fare, ma non trovava delle risposte. Questa continua e frustrante incertezza sul suo futuro le metteva talmente tanta pressione che non riusciva a pensare ad altro. Nonostante ciò continuava ad andare a scuola come ogni giorno, a prendere voti sufficienti per la quantità di nozioni che imparava ogni giorno per poi scordare, a frequentare gli amici dopo la scuola, a studiare un’enorme quantità di pagine per il giorno seguente e a concedersi un breve tempo per rilassarsi la sera dopo cena. Non studiava molto, ma era particolarmente portata per la scuola, la sua era una di quelle intelligenze che ti stupiscono, era una studentessa brillante, ecco tutto. I compagni di classe la invidiavano molto e si domandavano come facesse a prendere perennemente più della sufficienza anche quando studiava meno del solito. Era determinata, ma non si vantava dei voti che riusciva a raggiungere, era l’esatto ritratto della parola modestia ed era anche questa caratteristica che la rendeva una persona piacevole.
Un giorno, mentre rimuginava a vuoto sui suoi soliti pensieri, ritrovò un taccuino che le aveva regalato sua nonna e, rileggendo quello che c’era scritto, le tornarono in mente le sagge parole della donna ormai defunta. Era morta ben sei anni prima, ma la ragazza se la ricordava come se la vedesse ancora ogni giorno, non era riuscita a scordarsi di quella sua voce limpida e passionale grazie alla quale le raccontava le storie la sera prima di addormentarsi. Era una di quelle sere che prevedevano il solito programma: i genitori lasciavano la piccola Livia a casa con la nonna, che le preparava la pizza con le sue mani, mentre loro andavano al cinema. Dopo aver divorato una delle succulente pizze di sua nonna, arrivava finalmente il momento tanto atteso da Livia, ovvero quando l’anziana le narrava una storia, argomentandola con un commento personale e chiedendo alla nipote quale fosse la morale del racconto. Da piccola a Livia questo sembrava come un gioco, ascoltava una fantastica storia e subito dopo era pronta a riassumerla e a capirne il significato. In realtà lo scopo era quello di insegnare alla bambina a parlare, a sapersi esprimere con termini sempre più specifici a seconda del contesto. La nonna e Livia si avviarono nella camera da letto e si sedettero alle loro solite postazioni. Ed ecco Livia, una bambina assetata dal desiderio di imparare sempre qualcosa di nuovo e completamente assorta nella lettura della nonna. Quella sera, però, dopo aver ascoltato la storia, la nonna cominciò a fare delle domande alla nipote. Iniziò chiedendole se le piacesse la sua vita, se stava bene con le persone che la circondavano e se avesse mai pensato a cosa le interessasse fare da grande. Livia, che fin da piccola aveva buone proprietà di linguaggio, fu svelta nel rispondere: disse che era contenta della sua vita, che adorava ridere con le sue amiche più care e che, sì, certo che ci aveva pensato a cosa avrebbe fatto da adulta, ma erano solo idee sparse per la testa di una ragazzina di nove anni appena compiuti. La nonna allora le chiese.”Ti piace raccontare le cose che vedi, che leggi, che vivi?” e Livia le rispose che, sì, accidenti, le piaceva proprio e non faceva fatica a farlo. Allora l’anziana signora si alzò dalla poltrona su cui sedeva e prese dalla mensola un polveroso scatolone nero, lo poggiò sulla scrivania e ne estrasse un pesante oggetto: era una macchina da scrivere. Livia si alzò affascinata dall’accuratezza che caratterizzava il misterioso oggetto.
“È una macchina da scrivere, la puoi usare per raccontare qualunque cosa tu voglia, ogni volta che lo desideri”, disse la nonna. Dal giorno seguente Livia descriveva qualsiasi cosa che le passasse per la testa con la sua macchina da scrivere e conservava le pagine in una sorta di taccuino. Scrivere era diventata la sua passione, aveva finalmente trovato un mezzo per esprimersi al meglio e con il passare degli anni aveva iniziato ad immaginare la sua vita futura: avrebbe scritto per un famoso giornale e avrebbe vissuto in un’enorme casa con i suoi figli e suo marito. Qualche tempo dopo la nonna di Livia morì e la ragazza fu pervasa da un’enorme sensazione di solitudine: era stata sua nonna a farle osservare meglio ciò che la circondava scrivendo, e ora che non c’era più le sembrava che nessuno potesse capirla, nemmeno i suoi genitori o i suoi amici. I genitori di Livia non passavano molto tempo a casa, erano quasi sempre fuori per lavoro e lasciavano la ragazza con la nonna. Ora però Livia doveva abituarsi a stare da sola in casa, senza nessuno con cui confidarsi o con cui parlare. Dal giorno della morte della nonna la ragazza non riuscì a mettere più le mani sulla macchina da scrivere: tremava ogni volta che ci provava, turbata dai ricordi della gentile vecchia. Aveva deciso che non avrebbe più avuto a che fare con la scrittura fino a che non le fosse passato questo periodo di tristezza.
Vedendo e rileggendo quel taccuino, Livia fu improvvisamente invasa da tutti i ricordi che la collegavano a quei racconti e le sembrò quasi di riviverli una seconda volta. Per una volta dopo, tanto tempo, si sentiva realmente felice, senza dover fingere di esserlo. In quel momento capì che forse la cosa che la faceva veramente stare bene era scrivere, scrivere di tutto, scrivere anche quando le crollava il mondo addosso. Scrivere…
Si recò nella soffitta di casa sua e alzò la scatola polverosa contenente la macchina da scrivere dallo scaffale e la portò in camera. Non sfiorava quell’oggetto da sei anni ormai, e finalmente aveva ritrovato la forza di riprenderla e ricominciare a scrivere. Iniziò a premere i primi tasti sulla macchina e in meno di venti minuti buttò giù una poesia, poi un racconto sulla gita che aveva fatto l’altro giorno e infine sul rapporto che aveva con sua nonna. Prima d’ora non era mai riuscita a parlarne con nessuno, non aveva neppure pianto né altro, quasi le si fossero seccate le lacrime: aveva preferito tenersi tutto dentro. Cominciò a scrivere del suo bell’aspetto, nonostante avesse settantasette anni quando morì: aveva gli occhi verdi, che con il loro sguardo attento ti rapivano appena la guardavi; aveva i capelli neri, ovviamente li tingeva ma li aveva sempre avuti così, naturali, fin dalla nascita; aveva le guance leggermente rosate e le labbra rosse, che spiccavano in quel viso angelico. Era proprio una bella signora. Ovviamente Livia non poteva non raccontare della loro abitudine di leggere una storia ogni sera e di come la nonna l’avesse fatta appassionare alla scrittura. La nonna inoltre aveva abituato la nipote ad osservare ciò che la circondava fin da piccola. Un giorno l’aveva portata in un rigoglioso giardino vicino casa e le aveva fatto descrivere ogni fiore del prato. Oppure un’altra volta avevano preso il treno ed erano andate al mare; la nonna, appena arrivate sulla spiaggia le disse: “Ascolta attentamente il rumore delle onde che si increspa sull’acqua, non è magico?” Sì, era magico, bastava ascoltarlo… Livia era stata poche volte al mare perché anche in estate i genitori lavoravano molto e se venivano date loro le ferie preferivano passarle in montagna, e non aveva mai ascoltato veramente il rumore delle onde. Un altro giorno, qualche mese prima della morte della nonna, Livia tornò a casa e trovò l’anziana signora piegata in due sul letto, imprecando aiuto: aveva un mal di pancia insopportabile. La ragazzina allora alzò la cornetta del telefono e chiamò il pronto soccorso, che si precipitò a casa loro e visitò la nonna. i dottori dissero che si trattava di una malattia molto grave al fegato e che la paziente aveva ancora circa diciotto mesi di vita. Livia a quelle parole sbiancò di colpo, in un attimo le passarono velocemente per la mente immagini scure, ricordi bui, non riusciva ad immaginarsi a come avrebbe affrontato la scomparsa della nonna a cui era tanto legata. In quei diciotto mesi Livia cercava di essere perennemente a disposizione della nonna: adesso era lei che le preparava la pasta colma di sugo appena tornata da scuola, il tè pomeridiano, la pizza la sera ed era lei che le leggeva le storie prima di andare a dormire. I ruoli delle due si erano letteralmente invertiti, ma Livia pensava che fosse giusto così, che la nonna si era occupata di lei per talmente tanto tempo che adesso toccava a lei, doveva starle vicino il più possibile. Pochi giorni prima di morire Livia fece leggere alla nonna un racconto che aveva scritto per scuola e lei, dopo averlo revisionato con cura, fece i suoi complimenti alla nipote, le disse che il suo era un vero e proprio talento e le fece promettere che un giorno avrebbe fatto di questa sua passione per la scrittura un lavoro. Livia aveva solo dieci anni e già scriveva in modo fluido e senza alcun errore ortografico, in più sapeva argomentare come una giornalista.
Quel racconto che aveva fatto leggere alla nonna prima di morire fu il primo articolo che pubblicò sul suo blog e fu proprio grazie ad esso che riuscì ad intraprendere il lavoro di giornalista qualche anno dopo. Dopo il liceo infatti Livia si è iscritta all’università di Lettere, dopo averla conclusa è andata a vivere a New York per qualche anno ed è stata assunta come giornalista per il “New York Times”. In questo momento starà sicuramente viaggiando spensieratamente per il mondo, alla ricerca di esperienze nuove e di spunti per il suo primo libro. È ancora brillante come era da ragazza e finalmente ha trovato il suo posto nel mondo, quel posto che a sedici anni pensava che non avrebbe mai trovato. Ora ha delle certezze e ogni giorno ringrazia sua nonna per averle permesso tutto questo.
Emma Boschi
Liceo Classico Galileo di Firenze – Classe 2G