Terapia equa e solidale contro gli incubi esistenziali

Siete in una stanza spoglia, davanti a voi c’è solo uno di quegli antiestetici tavoli di compensato, e mentre cercate freneticamente di capire come ci siete finiti, voi che prima stavate cucinando per vostro figlio, o eravate in ufficio, o stavate cercando di dire al vostro cane che no, non avevate voglia di alzarvi a mezzanotte per portarlo fuori, vi avvicinate al tavolo e notate che sul piano c’è un foglio, e il foglio è bianco, eccezion fatta per una microscopica scritta sul fondo. Mentre già vi innervosite per il fatto che qualcuno abbia scritto con caratteri così piccoli e proprio in basso, capite cosa state leggendo: “Non mi sei mai stato d’aiuto”. Tutto qui… Diventate particolarmente suscettibili. Chi è che si permette di insinuare qualcosa del genere? Siete nervosi, e proprio mentre vi vengono in mente un paio di peccatucci passati (un gioco rotto, qualche bugia, un paio di isterismi, qualche piccolo furto, magari) e inventate una lunga serie di scuse e attenuanti per ogni singolo evento dubbio avvenuto nella vostra esistenza, vi accorgete che tutto ciò non è mai accaduto, e ne siete immensamente sollevati.
Accade invece tutte le notti a Ro, non importa quante tazze di camomilla gli prepari sua madre, fa lo stesso identico sogno da anni ormai, ma non si è ancora arreso, combatte ancora per la sua libertà di sognare di precipitare nel vuoto, o di essere licenziato, o di non aver fatto i compiti come tutti gli altri.
Ma perché Ro dovrebbe sognare qualcosa del genere? Cosa può aver fatto Ro di così terrificante da doverlo sognare, a distanza di anni, tutte le notti? In fondo è soltanto impiegato in un’azienda, lavora a tempo pieno e quando torna a casa ha solamente il tempo di ascoltare per una mezzora successi musicali di pessimo gusto e mangiare qualsiasi cosa la madre gli metta in tavola prima di crollare sul letto. Dovrebbe essere sulla trentina ormai, ma potrebbe anche avere qualche anno in più, non saprei dire, so solo che tutti i suoi traumi arrivarono direttamente intorno al ventiseiesimo anno di età, quando Laura lo lasciò per un pinguino, come pensava lui, o per “uno stile di vita più ragionato al fine di essere in pace con me stessa” come lo definiva lei. Ma il problema non era la mancanza di Laura, esistono milioni di Laura al mondo, anche se non si chiamano proprio così. Si erano conosciuti facendo volontariato e col tempo si erano sempre più allontanati da casa, erano entrati a far parte di svariate associazioni per la pace nel mondo, il disarmo nucleare, il mantenimento degli habitat di animali in via di estinzione e quello per la preservazione dei costumi di molteplici culture (cose in cui non crede più nessuno insomma, ma che possono dare un aiuto per farci sentire più utili di fronte alla nostra coscienza) ma mentre Ro pensava che tutto questo allontanarsi li avrebbe poi fatti approdare, un giorno più o meno vicino, in un qualche posto stabile da chiamare casa (giusto per il gusto di provare a dire la parola) Laura non si fermava e non si era accorta che a qualcuno facevano male i piedi. Si erano salutati da qualche parte al Circolo Polare Artico, tra carote di ghiaccio sporco, circondati dai pinguini e poi Ro aveva avuto un colloquio di lavoro ed era stato assunto, sorprendentemente per la sua capacità di parlare molteplici lingue, e la prima cosa che aveva pensato in proposito era stata che allora tutto quel peregrinare gli aveva lasciato effettivamente qualcosa di concreto su cui lavorare. Andava tutto bene, non doveva fare niente di particolarmente difficile, ed il massimo di competizione che aveva potuto assaggiare era avvenuto quando gli avevano fatto ascoltare un incontro con clienti stranieri in vece di traduttore e i colleghi lo avevano guardato male.
Aveva imparato a leggere meno quotidiani possibili, perché gli facevano venire una certa nostalgia della vecchia vita, con le loro notizie tristi, e guai a guardare documentari sulla vita degli uccelli in Papua Nuova Guinea, perché tutti quei colori gli facevano venire una voglia matta di tornarci, ma poi aveva cominciato a fare il sogno, e non aveva pensato più a niente che non fosse farlo sparire dalla sua vita notturna. La prima volta non era rimasto impressionato, anzi prima di arrivare al lavoro se l’era già dimenticato, la seconda ne era rimasto sorpreso, ci aveva pensato più a lungo e si era chiesto se mai avrebbe fatto di nuovo lo stesso sogno finché era accaduto di nuovo la terza notte. Allora aveva cominciato a chiedersi cosa mai potesse significare.
Non pensava veramente che partire, fare tutto quello che c’era da fare per l’universo, avrebbe effettivamente aiutato molte persone, anzi, poteva anche danneggiarle, ma magari poteva essere che una parte della sua persona non gradisse quel quieto vivere, il non porsi mai domande, lo scegliere il meno peggio alle elezioni, il non poter desiderare di fare tutto di nuovo, svegliarsi la mattina e vivere altrove, qualsiasi posto gli permettesse di dormire la notte. Certo non era una cosa normale sognare un’ossesione, e non era una cosa normale cercare di vivere in un’utopia per non affrontare l’ossessione, ma in fondo anche l’utopia aveva le sue crepe: spesso chiudeva gli occhi davanti ad alcuni documenti della fabbrica riguardanti la fine di rifiuti tossici o la provenienza di altre sostanze che finivano nei circuiti elettronici. Ma ovviamente se non gli chiedevano niente poteva fingere che il problema non esistesse, giusto?
Ma adesso vi racconterò di come Ro sconfisse in un sol colpo l’azienda per cui lavorava, Laura e il sogno.
Dovete sapere che il suo capo era un Ciclope, ovviamente non in senso letterale, ma i suoi comportamenti e le sue richieste erano tali che con gli anni di onorata carriera gli era stato donato questo affettuoso nomignolo, in ogni caso il suddetto Ciclope durante un gelido giorno d’inverno chiamò Ro nel suo ufficio desiderando parlargli, e non appena il nostro eroe si fu seduto davanti a lui vomitò innumerevoli parole in modo estremamente cauto: “Lei, sarebbe forse interessato, ma ovviamente la cosa non è certa, e in ogni caso tutto dipende dalle sue disponibilità, a fare, ma dico solo per dire, qualche lavoro per la società all’estero?” E mentre Ro non sapeva cosa dire pensando alle comode tranquillità che la sua vita gli consentiva, ma anche incurosito da dove fosse situato questo fantomatico “estero”, se ci fosse mai stato e quali mansioni avrebbe dovuto svolgere lì, subito il Ciclope ricominciò la sua diatriba: “Ma non mi interrompa! Le devo ancora spiegare il motivo di questa sua possibilità, in fondo si tratterebbe soltanto di, come dire, regolare e controllare il lavoro in una nostra filiale cinese nelle vicinanze di Pechino e magari di aquisire materie prime sul territorio, ovviamente lei verrebbe pagato in modo adeguato ma dovrebbe anche… ecco… interagire con le altre aziende e le leggi locali per ingrandire il nome delle nostra società da quelle parti.” Adesso Ro capiva, la filiale era probabilmente un disastro da qualsiasi punto di vista e l’azienda voleva cominciare a guadagnare con la produzione di leghe metalliche come il praseodimio, il samario e il diprosio, rispettivamente per la produzione di motori areonautici, di potenti magneti e di laser o hard disk, producibili in Cina, ma non voleva problemi con i costi di produzione o con gli stipendi degli impiegati e degli operai, che in quel paese erano anche abbastanza ridotti, si trattava di quel genere di lavoro che Laura avrebbe immediatamente aborrito magari finendo per licenziarsi, ma Ro?
“Allora cosa fa, accetta?” chiese il Ciclope, strabuzzando gli occhi.
“Accetto.” disse Ro.
Non ho mai più incontrato quell’ex impiegato, ma so che appena arrivato in Cina combinò tali disastri che la filiale fallì, gli operai e gli impiegati cinesi si sollevarono per formare una cooperativa e Ro sposò una cinese il cui nome era Piàoliang, che aveva lo stesso significato di quello di Laura, non ha più fatto quello strano sogno e penso che ora viva felicemente a Pechino.

Sofia Nangano
Liceo Classico Galileo di Firenze – Classe 2A