Tramonto – Racconto

Se ne stavano entrambi sdraiati sul pavimento davanti al camino, vicini con il cuore ma lontani con il corpo. Non avrebbe mai dovuto farlo, eppure eccolo lì, la sua unica consolazione era quella lettera. Stanco, chiuse gli occhi.
Non faceva freddo quella sera, ma Edwyn aveva la pelle d’oca, c’era qualcosa di sinistro nella Luna, le strade di Chicago erano allegre come sempre, illuminate dalle luci natalizie e l’atmosfera era quasi incantata dai canti provenienti dalle finestre della chiesa.
«Ed!», sentì il richiamo della moglie, « non è nemmeno al Memorial Hospital, però mi hanno chiamato dalla centrale della polizia, dicono di avere un biglietto aereo prenotato da un certo Alfredo ma non sanno se si tratti di lui, hanno detto di non sperarci troppo. Dai, Ed, torna dentro!»
Ed si voltò, mormorando: «Dove sei, Al?»
Erano passati ben quarantadue anni da quando quell’uomo era entrato improvvisamente nella sua vita, si chiamava Alfredo, era italiano, ma per loro era il buon vecchio Al, era decisamente più facile da pronunciare.
Entrò in casa, poggiò le mani sulle spalle della figlia e le stampò un bacio sulla fronte, si rivolse verso i due nipoti nel fiore dell’adolescenza: «Al è scomparso, lo abbiamo cercato ovunque, ma non è da nessuna parte…» sospirò, mentre il più piccolo dei nipoti si avvicinava al nonno, protestando: «Non possiamo festeggiare senza di lui, io e la mamma abbiamo preparato cibo italiano…»
«Possiamo posticipare il Natale,» rispose il maggiore «non mi importa di quanto tempo, voglio solo passare le feste con zio Alfredo». La proposta cadde nel silenzio.
«Non essere ridicolo, non si può posticipare il Natale!» ribattè la madre, ma Ed anticipò ogni altro commento, si alzò di scatto ed esclamò: «Perché no? Il cibo, i regali, le luci…» si interruppe e lo sguardo da determinato divenne triste «… non sono la stessa cosa senza il mio migliore amico». Tutti si alzarono e si strinsero attorno ad Edwyn.
Nel frattempo Alfredo era tutt’altro che triste: il suo aereo era atterrato da un paio d’ore all’aeroporto di Alghero, in Sardegna, aveva preso un taxi ed era partito alla volta della sua casa d’infanzia, ne aveva ancora le chiavi e continuava a pagarne le tasse da anni nel caso avesse deciso di tornare. Dopo un’ora la strada divenne impraticabile in macchina quindi continuò a piedi, sentiva il rumore del mare, sapeva di essere vicino.
Vide una barca nella piccola baia naturale, si avvicinò incuriosito, lo fu ancora di più quando sopra vi scorse un pescatore intento a riporre l’attrezzatura, cercò di richiamare l’attenzione dell’uomo parlando in inglese, ma quando quello diede segno di non capire riprovò in italiano: «Salve buonomo!» disse, e mentre lo diceva gli suonava impacciato, ma fu bello sentire di nuovo i dolci suoni dell’italiano, erano anni che non lo parlava. Da quando aveva deciso di lasciare tutto per inseguire il sogno americano, erano passati quarantadue anni e adesso con ottantasette che gravano sulle sue spalle era l’ora di tornare alle origini.
«È la vigilia di Natale, perché non è con la sua famiglia?» chiese. Il pescatore, evidentemente divertito dallo strano accento di Alfredo rispose con un risolino: «Stasera pesce! È il regalo per mia moglie, purtroppo non è andata tanto bene, c’è ancora troppa luce» mostrò solo due pesci, in quel momento Alfredo si accorse di avere fame e di non avere niente da mangiare…
«E tu cosa fai qua tutto solo?» domandò il pescatore.
«Sto tornando a casa» rispose.
«Mi immagino che ti stiano aspettando, anche voi pesce per la Vigilia?»
«Veramente sono solo e… non ho niente da mangiare, vengo da un lungo viaggio, sapresti indicarmi il negozio più vicino?»
L’uomo sembrava stupito: «Negozio? Non ce ne sono nel raggio di chilometri, tieni, prendi i miei pesci, ti basterà della legna secca per accendere il fuoco».
«No, non darmeli, come farai con tua moglie? »
«Abbiamo altro cibo, tu invece non hai niente» disse mettendo i pesci in una busta e la lanciò sulla spiaggia, accese il motore e se ne andò.
Intanto, molto lontano da lì, la luce delle illuminazioni filtrava dalla finestra, e fu in quel momento che Ed vide qualcosa di quadrato sul davanzale della finestra, qualcosa che sembrava una lettera. Si alzò e la prese, constatando che era effettivamente una lettera. La aprì, era di Alfred, diceva: “Amico mio, lo sai, sono impulsivo, ho deciso di andarmene, di tornare in Italia per passare i miei ultimi giorni nella casa in cui mia madre mi ha cresciuto, mi manca tanto, non venire a cercarmi, non mi troveresti…” continuava.
Quando Ed finì di leggerla era furibondo, li aveva abbandonati, ebbe l’impulso di gettarla nel camino, ma qualcosa lo trattenne, un ricordo, il ricordo di quella foto che Al aveva sempre con sé, quella che ritraeva sua madre davanti a quella vecchia casa, e in quell’istante capì quanto fosse importante per Al. Si sedette per terra e, ipnotizzato dalle fiamme guizzanti del cammino, si adagiò sul tappeto a rimuginare.
Alfredo aveva trovato la casa come l’aveva lasciata, nessuno ci era più entrato da un secolo, era piena di polvere e ragnatele, se chiudeva gli occhi sentiva ancora il profumo e la voce di sua madre.
Aveva accesso il camino e aveva pulito i pesci con il coltello che aveva trovato in un vecchio cassetto e stava cercando qualcosa per poterli arrostire sul fuoco quando all’improvviso gli venne in mente il pescatore e di conseguenza la benevolenza con cui Ed lo aveva accolto quarantadue anni prima e capì cosa aveva fatto: doveva tornate subito a Chicago o comunque trovare un telefono, si alzò di scatto dalla sedia, ma un dolore al centro del petto lo fermò, fece due passi e si fermò di nuovo davanti al calore del camino, il dolore lo invase totalmente, finché cadde a terra.
Il pavimento era polveroso, le pareti erano spoglie e buie, illuminate soltanto dalla fioca luce del camino, esattamente come la sua mente, illuminata dal ricordo di sua madre affiancato da quello di Ed. Non avrebbe mai dovuto andarsene, eppure eccolo lì, la sua unica consolazione era quella lettera. Stanco, chiuse gli occhi per l’ultima volta con il sorriso dei suoi cari impresso negli occhi ormai chiusi per sempre.
Viola Mazzei
Liceo Classico Galileo di Firenze – Classe 3C