LA MUSICA TRAP TRA BUONSENSO E GOLIARDIA

Gettando uno sguardo alle classifiche italiane di streaming musicale, appare finalmente chiara la presenza di un genere capace di scalzare il solito pop “da Sanremo” dalla cima, e soprattutto di permettere ad una buona fetta di giovani di identificarsi in esso rendendolo la papabile colonna sonora della loro generazione. Stiamo parlando della cosiddetta “trap”. Musicalmente si tratta di un derivato del rap caratterizzato (almeno nelle sue incarnazioni più commerciali) da basi molto leggere ed orecchiabili e da voci pesantemente modificate, quasi robotiche. I testi invece si concentrano su argomenti come droga, spaccio e criminalità, connotati dall’autocelebrazione di sé e della propria vita di strada.

La trap negli ultimi due anni ha avuto in Italia un successo davvero folgorante, come dimostrato dall’ultima edizione del concerto del primo maggio, in cui esponenti di punta del genere come Sfera Ebbasta e Achille Lauro si sono esibiti davanti a folle oceaniche. Ma tornando un poco indietro, circa un paio d’anni prima di questa esplosione, ci si accorge di come già ci fossero in giro su internet alcuni “artisti” identificabili come trapper, ma accolti dal pubblico in modo  decisamente diverso. E’ il caso di Bello Figo Gu e della Dark Polo Gang, i cui video hanno cominciato a macinare numeri impressionanti di visualizzazioni già nel 2015.

Sia il primo che i secondi rientrano senza grosse forzature nel genere trap, ma è bene ricordare che le reazioni alle loro canzoni sono state molto più negative rispetto a quelle che oggi sono generate da Capo Plaza o dal già citato Sfera Ebbasta. Infatti i pareri su Bello Figo e DPG più diffusi nel biennio 2015-2016 ne rimarcavano pesantemente i difetti, come l’eccessività esagerata dei testi e la poca dimestichezza che questi personaggi avevano col saper rappare, caratteristiche tutt’ora presenti in quasi tutti i musicisti del genere oggi in cima alle classifiche. Viene quindi naturale chiedersi perché si sia passati da una reazione tanto negativa ad una tanto positiva in così poco tempo. Una possibile, per quanto strana, risposta risiede nei pochi commenti positivi che già ai tempi potevano essere trovati sotto ai video di Bello Figo e della DPG, in cui gli autori esaltavano i dettagli più ridicoli di tutto ciò che sentivano considerandoli scelte ragionate ed acutissime, talmente acute da sfuggire a chi le criticava per via della loro ridicolaggine. E’ probabile che questa singolare visione si sia diffusa tanto da diventare la norma, e che chi nel 2016 detestava l’estetica ostentatamente lussuosa della DPG o i contenuti osceni di Bello Figo oggi apprezzi le stesse cose nelle canzoni di Achille Lauro. Dunque dietro a questa sorta di rivalutazione si cela la sostanziale incapacità del pubblico giovane, specialmente quello italiano, di valutare l’arte e più in generale la realtà in modo oggettivo, avendo sacrificato un’attenta analisi del prodotto per sostituirla con una banale suggestione comica che ne innalzerebbe automaticamente il valore. Ne è ulteriore prova la recentissima comparsa sulla scena di Young Signorino, ambasciatore di una visione a dir poco ortodossa della trap. Nei suoi video il rapper cesenate si muove in maniera convulsa e con addosso un vestiario abbastanza “originale” mentre blatera parole sconnesse e senza una consequenzialità logica con voce mugugnante. E in questo contesto forzatamente goliardico in cui si trova il pubblico, una proposta del genere viene ovviamente recepita come innovativa e geniale (anche se non mancano gli “haters”, figure tanto allarmanti quanto in realtà poco definite e quindi comode da usare per chi lorda il web con contenuti discutibili), chiaramente attraverso lo stesso meccanismo ironico che ai tempi permetteva di apprezzare la DPG senza essere presi per pazzi.

E’ il potere del cosiddetto “trash”, un teatro dell’assurdo talmente stupido da essere divertente e talmente divertente da essere bello. Oltre alla musica trap, altri esempi di questi ripescaggi sono presenti anche al cinema (è recente l’uscita di “The Disaster Artist”, pellicola che illustra la realizzazione di uno dei film più brutti di sempre, il celebre “The Room”, innalzandone gli autori a geni incompresi come già aveva fatto Tim Burton con Ed Wood) e nella televisione (emblematici i casi di Paolo Bonolis e Teo Mammucari, da sempre associati a trasmissioni di bassa qualità ma rivalutati proprio in nome della sublime bruttezza di Cultura Moderna e Ciao Darwin).

Verrebbe poi da chiedersi chi avrebbe vinto le ultime elezioni americane in assenza di questo malcelato gusto per l’osceno, senza cui probabilmente certe uscite dell’attuale Presidente durante la campagna elettorale avrebbero avuto risonanza molto minore.

Ricercare le cause di questo bisogno quasi patologico di risate a buon mercato è un’operazione davvero troppo ampia per un solo articolo, ma osservando anche solo i titoli di testa di un qualunque telegiornale si potrà immaginare il perché di questa necessità di esorcizzare il male che abbiamo intorno fino a riderci sopra come nulla fosse. Un male che, anziché spingerci a migliorare questo pianeta, ci sta piano piano privando dell’abilità di riconoscere quando un prodotto è davvero mediocre.

 

Di Michele Finelli