Comunicazione Smart, parliamo senza ascoltarci

L’abitudine di acquistare il giornale al mattino e di leggere pagine su pagine è andata man mano a perdersi grazie (o a causa?) della diffusione di notizie gratuite sparse qua e là in giro per twitter, facebook, instagram, youtube.

Cosa fa un’immagine, un simbolo, un video al cervello umano piuttosto che un testo, seppur di breve durata fa comprendere il perché al giorno d’oggi miliardi di utenti si aggiornino tramite storie, servizi di pochi minuti o sequenze velocissime di immagini.

Questo aspetto va ad influenzare anche il modo di “fare” giornalismo che deve attirare l’attenzione del lettore immediatamente: i primi 4 secondi nei videoservizi, infatti sono quelli fondamentali per colpire l’attenzione delle persone, dove viene presentato l’argomento e le scene più salienti, poi potrà iniziare il servizio.

Versatilità, small talking e conoscenza sono alla base della presentazione perfetta di una notizia qualunque: anche il cane che impara a ballare può fare notizia e diventare popolare, se il video è “smart”.

La virtualizzazione della società si fa sentire in molti aspetti della vita quotidiana. Uno degli ambiti in cui è più presente è quello della comunicazione fra mezzi d’informazione e pubblico, fra istituzioni e cittadini, fra cittadini e altri cittadini.

La società odierna lascia enorme spazio alla comunicazione virtuale, on-line o comunque non dal vivo. Essa però ha diversi difetti. Il primo è che tende a limitare l’accessibilità per determinate categorie di utenti, escludendoli molto più di quanto non accada nel caso di incontri fisici e diretti. Questo aspetto è direttamente collegato al fatto che per comunicare oggi bisogna avere la possibilità e la capacità di utilizzare strumenti tecnologici. Anziani, bambini, indigenti e chiunque non abbia le competenze o le risorse – anche economiche – per accedere ad essi è tagliato fuori dalla comunicazione.

Il terzo problema è che le interazioni virtuali non sono complete, poiché difettano di tutta la parte non verbale – quella cosiddetta analogica – e questo rende impossibili un dialogo e un’organizzazione reciproca dei rapporti fra le persone.

Quando si comunica si ascolta, se va bene, il contenuto e non si tiene conto del tipo di relazione che c’è fra coloro che stanno dialogando.

C’è anche un quarto aspetto, cioè il fatto che il mondo virtuale rende la comunicazione spesso divisa in canali paralleli, che non si incontrano. Ciascun utente comunica solo con chi vuole e non con tutti quelli che ci sono. Insomma, è fortemente selettivo, proviene da un mondo frammentato e conduce a un mondo ancora più frammentato, sotto il profilo delle percezioni, dei punti di vista e così via.

E’ risaputo che la realtà del ventunesimo secolo è costituita da tanti aspetti, spesso divergenti o addirittura antitetici, ma questo tipo di comunicazione esaspera tali differenze, amplificandole e allontanando le persone le une dalle altre, isolandole.

Il quinto problema è il venir meno dell’interazione fisica con il mondo. Nel momento in cui gli strumenti comunicativi diventano sempre più virtuali, immateriali e astratti, siamo costretti a comunicare attraverso rappresentazioni sempre più semplificate ed evanescenti di ciò che vogliamo dire. Ridurre tutto il nostro mondo a qualcosa di incorporeo, riduce anche il nostro rapporto con ciò che è fisico, limitando la nostra capacità di intervenire sulla realtà e di modificarla.

Tanti pro, tanti contro : la questione è complessa e nuovi lavori sostituiscono vecchi. Le edicole chiudono, la richiesta di camera man aumenta e i giornalisti lavorano per testate online. Cambiamenti e stravolgimenti che hanno totalmente ribaltato l’assetto della comunicazione. Questa evoluzione a cosa porterà?

 

Roberta Quartucci