Il silenzio dei colpevoli

Sono decenni che la mafia miete vittime, innocenti o meno, dopo anni ci si chiede, l’operato dello Stato sarà stato in grado di porre fine a questo fenomeno?

La mafia viene identificata nella criminalità organizzata, ma oltre a compiere ogni sorta di illegalità, tende ad acquisire una sorta di potere sul territorio su cui agisce. Essa si serve quasi sempre delle autorità politiche per effettuare i suoi colpi.
“La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine”; così l’eroico giudice Giovanni Falcone definì questa piaga sociale. Se oggi abbiamo tante informazioni sulla mafia è proprio grazie al giudice Falcone e a Borsellino, che ne sono rimaste vittime, ma non hanno avuto paura di lottare.
“A ventisei anni di distanza sono vivi il ricordo e la commozione per il vile attentato di via d’Amelio, in cui hanno perso la vita il giudice Paolo Borsellino e gli agenti Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi, Claudio Traina. Borsellino era un giudice esemplare: probo, riservato, coraggioso e determinato. Le sue inchieste hanno costituito delle pietre miliari nella lotta contro la mafia in Sicilia. Insieme al collega e amico Giovanni Falcone, Borsellino è diventato, a pieno titolo, il simbolo dell’Italia che combatte e non si arrende di fronte alla criminalità organizzata” afferma il capo dello Stato Sergio Mattarella.
La verità sulla vicenda e sui responsabili resta celata dietro ai volti di uomini potenti che temono eventuali ripercussioni da parte del clan responsabile di tale attentato.
Perseguire la verità sempre e ad ogni costo, a partire dall’accertamento giudiziario sulla strage di via D’Amelio e sulla trattativa tra stato e mafia è l’unico modo per lo Stato di riconquistare la fiducia dei cittadini che ritengono quest’ultimo causa della crescita di questi clan.
“Mio fratello, ne sono convinto, è stato ucciso con un piano affrettato rispetto a quella che sarebbe stata la sua eliminazione, che sarebbe arrivata in ogni caso, per mano della mafia, ma che è stata sollecitata da parte di quella politica, di quei pezzi dello Stato, che avevano scelto di condurre con la mafia una scellerata trattativa” esplica Salvatore Borsellino, fratello del defunto magistrato Paolo.
Prima ancora che un’organizzazione criminale, la mafia è considerata come un “sistema di potere” fondato sul consenso della popolazione e sul controllo sociale che ne consegue; questo evidenzia come la sua principale garanzia di esistenza non stia tanto nei proventi delle attività illegali, quanto nell’approvazione comune e nelle collaborazioni con funzionari pubblici, istituzioni dello Stato e politici, e soprattutto nel supporto sociale. La mafia è compenetrata e si è sviluppata nel tessuto sociale proprio grazie alla connivenza [ non è un errore di battitura, significa “tacito consenso” ] di gran parte della popolazione e della politica locale intimidite dall’atteggiamento mafioso.
La forza d’intimidazione esercitata dalle organizzazioni mafiose porta al silenzio, all’omertà, di associati e persone conniventi. Chi non tradisce, chi non parla, è chiamato “uomo d’onore”, secondo una terminologia settaria che inverte il senso reale delle parole. Non a caso, l’omertà ha accompagnato le tanti stragi di cui la mafia, si è resa protagonista. La Sicilia ma nello specifico Palermo ha vissuto un periodo particolarmente sanguinoso nei primi anni ’80, quando era in corso una guerra di mafia che ha causato centinaia di morti. La violenza mafiosa si è spinta anche all’esterno, colpendo uomini politici, magistrati e rappresentanti delle forze dell’ordine. Tra le innumerevoli vittime ricordiamo il giornalista Mauro Rostagno.
La corruzione e il malaffare sono temi onnipresenti nelle riflessioni di Mauro, il quale, utilizzando spesso anche l’arma di una tagliente ironia, lamenta una politica ripiegata su se stessa, parla dell’incapacità dei partiti di trovare un’intesa, racconta la degenerazione del confronto politico rissa tra tribù, in cui a dominare è la logica “degli affari per gli affari” e non certo l’interesse per il bene comune. Troppo fastidiosa fu la sua opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sui temi della dignità delle istituzioni e dei cittadini, tanto da portare il giornalista alla morte il 26 settembre del 1988, all’età di 46 anni, sotto i colpi di un fucile e una pistola calibro 38, a poche centinaia di metri dalla sede della sua città.
In seguito alle numerose vittime, allora ci si chiede , lo Stato avrá migliorato le proprie forme di tutela per tutti coloro che contrastano il crescente diramarsi di queste organizzazioni? O è rimasto celato dietro al suo solito scudo fatto di omertá?

Di Annapaola Maiellaro