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Coca-cola, il lato oscuro della multinazionale delle bollicine

La multinazionale delle bollicine, The Coca Cola Company, specula sui paesi più poveri e critici del mondo e si è resa colpevole della deturpazione dell’ambiente, dello sfruttamento delle risorse idriche e della violazione dei diritti dei lavoratori.

 

La parola ‘’Coca Cola’’ è la seconda parola più riconosciuta al mondo, preceduta solamente dalla parola ‘’Okay’’. Da un capo all’altro del mondo, dunque, tutti conoscono la bevanda Coca Cola e questo costituisce un evidente indice del successo e della popolarità del prodotto.

La bibita Coca Cola, tuttavia, è soltanto uno dei prodotti dell’azienda produttrice e distributrice di bevande analcoliche, The Coca Cola Company. Altri prodotti dell’azienda sono, per esempio, le bevande Fanta e Sprite.

Le cifre del colosso americano sono veramente da capogiro (166 miliardi di litri di bevande vendute nel 2016) e la collocano al primo posto nel settore delle bevande analcoliche.

Nella storia della multinazionale delle bollicine, tuttavia, non si contano solo successi, ma anche una lunga serie di condanne in sede legale, violazione dei diritti, sfruttamento della manodopera e deturpazione dell’ambiente. La Coca Cola Company, infatti, sembra avere una propria strategia di azione: stabilire i propri stabilimenti in paesi poveri o dotati di governi fragili e legislazioni deboli circa il diritto del lavoro, la libertà di associazione sindacale e i salari minimi.

I danni ambientali

Nel 2010 la compagnia fu condannata al pagamento di 352 milioni di euro per aver sfruttato le risorse idriche di alcuni villaggi del sud-ovest dell’india ed aver causato in quei paesi una grave crisi idrica. L’ingrediente principale della bevanda è, infatti, proprio l’acqua! Non è un caso che la compagnia si rechi in quei luoghi dove l’accesso all’acqua ha costi bassissimi, finendo per prosciugarne le risorse idriche.

L’India è stato una delle vittime maggiori della compagnia. I dati dell’agenzia indiana del monitoraggio delle acque e quelli dell’India Resource Center evidenziano lo sfruttamento delle risorse idriche ad opera della multinazionale americana. A Plachimada lo stabilimento della Coca Cola arriva ad assorbire 1,5 milioni di litri di acqua potabile al giorno dalle falde, lasciando a secco i villaggi e la popolazione locale.
La compagnia, inoltre, risulta essere colpevole di un ulteriore crimine nel paese: rivendeva agli agricoltori locali i reflui non trattati derivanti dalla produzione industriale spacciati come compost, riversando nell’ambiente residui pericolosi contenti metalli pesanti quali cadmio, cromo e piombo.

Anche in altre parti del mondo la storia si ripete, come in Algeria dove una società locale imbottigliatrice per Coca Cola è stata condannata per aver inquinato alcuni terreni agricoli con acque di scarico.

La violazione dei diritti

Il lato oscuro della multinazionale delle bevande gassate conta anche casi di violazione dei diritti dei lavoratori. Preoccupante fu il caso della scomparsa di otto sindacalisti colombiani che lavoravano presso l’azienda di imbottigliamento della filiale colombiana della compagnia. L’avvenimento fece scattare una campagna di boicottaggio internazionale, a seguito della quale la compagnia si vide costretta a incontrare il sindacato, mentre un processo partì contro la multinazionale, che però si concluse con delle archiviazioni. Il destino degli otto sindcalisti fu invece più tragico: per le loro proteste contro i salari poco equi furono ammazzati dai paramilitari colombiani e in tribunale non fu provata l’identità dei mandanti dell’omicidio.

Anche in Guatemala due sindcalisti furono uccisi. L’episodio produsse una serie di proteste che indussero Coca Cola ad adottare un comportamento meno repressivo e più dialogante verso i sindacati.

In Pakistan, invece, nel 2010 alcuni lavoratori furono licenziati dopo essersi costituiti come sindacato interno; anche qui partì una campagna di protesta a seguito della quale Coca Cola reintegrò i lavoratori licenziati.

Giuseppina Tommasino